Il Tribunale di Milano, con la sentenza n. 10049/16 pubblicata il 13/09/2016, ha condannato la Banca Nazionale del Lavoro a pagare a una società, branch italiano di un’importante multinazionale francese, assistita dagli Avvocati Franco Fabiani e Marco Dalla Zanna dello studio legale Fabiani di Como, oltre 8 milioni di euro (e precisamente Euro 8.204.021,61), più rivalutazione, interessi e spese processuali.
La sentenza rappresenta un importante segno di consolidamento dell’orientamento giurisprudenziale sul tema della criticità e impugnabilità dei contratti finanziari derivati interest rate SWAP.
I fatti: nel 2007, una società italiana appartenente a un gruppo multinazionale francese ha stipulato con una banca tedesca un finanziamento di circa 38 milioni di euro, finalizzato alla realizzazione di un centro commerciale e contenente l’obbligo contrattuale di hedging. Per coprire il rischio derivante dal possibile rialzo del tasso variabile previsto dal finanziamento, un’altra società, anch’essa riconducibile al gruppo, ha sottoscritto con BNL un contratto derivato SWAP con dichiarata finalità di copertura.
Il contratto, che è tuttora in essere perché ha scadenza 2017, prevedeva lo scambio di flussi finanziari secondo i quali la società doveva pagare alla banca, sul nozionale di riferimento corrispondente all’importo del finanziamento e con pari ammortamento, un tasso fisso del 4%, a crescere fino al 4,25% a fine contratto, con soglia out crescente dal 4,63% al 5,53%, e avrebbe ricevuto dalla banca il tasso variabile Euribor sei mesi, con barriera dal 4,63% al 5,53%.
Tuttavia, nel corso del contratto, il tasso Euribor è sceso fino ad azzerarsi, disattivando così le barriere poste a presidio del sottoscrittore e portando la società, vanificatasi appunto la perseguita funzione di copertura, a pagare differenziali negativi per circa 8 milioni di euro in soli 8 anni.
Nel 2013 la società ha impugnato il contratto e promosso causa contro BNL, contestando all’Istituto di Credito di avere operato in contrasto con i principi di buona fede e diligenza e in violazione degli obblighi informativi, e invocando le norme di settore poste dall’ordinamento a tutela dell’investitore. La società ha inoltre contestato vizi formali della contrattualistica (tra cui la nullità del contratto quadro), la classificazione di operatore qualificato attribuitale, la mancata comunicazione del metodo di calcolo del MTM, della facoltà di recesso, la carenza di causa per assenza della funzione di copertura e l’applicazione di commissioni occulte.
La particolarità del caso è data anche dal fatto che la banca aveva predisposto la contrattualistica utilizzando strumentalmente un Master Agreement ISDA con relativo Schedule (il contratto quadro) che attribuiva alla giurisdizione inglese, con applicazione della legge anglosassone, la decisione di ogni controversia insorta tra le parti.
In via pregiudiziale il Giudice, accogliendo una domanda cautelare proposta dalla società, aveva concesso la sospensione dell’esecuzione del contratto, ma tale ordinanza è stata rovesciata dal Tribunale a seguito del reclamo proposto dalla banca. La società si è vista dunque costretta a pagare regolarmente i differenziali durante tutto il corso del processo, sperando di ottenere la restituzione delle somme pagate al termine dello stesso.
In causa è stata disposta una consulenza tecnica di ufficio, nella cui sede la società si è avvalsa del consulente tecnico di parte Ing. Zucchinali. Detta consulenza ha evidenziato le criticità del contratto finanziario e, in particolare, la mancanza di funzione di piena copertura da parte dell’operazione in strumenti derivati e la presenza di commissioni occulte stimate in Euro 500 mila in danno alla società investitrice. Tali criticità, unite al fatto che la banca aveva proposto al cliente un contratto quadro privo dell’indicazione esplicita di un elemento essenziale qual è il mark to market al momento della sua stipula e perfino del metodo di calcolo del medesimo, ha condotto il tribunale meneghino ad affermare la responsabilità della banca e a riconoscere all’investitore il risarcimento di tutti i danni subiti. Pur non accogliendo la domanda di nullità e di risoluzione del contratto, il Tribunale ha accertato la responsabilità di BNL ex artt. 21 e 23 TUF nella formazione e stipula del contratto e ha condannato la banca alla rifusione del danno, corrispondente esattamente ai differenziali maturati e corrisposti fino al 31/12/2015. In altre parole, la banca dovrà restituire alla società una somma che, comprensiva della rivalutazione e degli interessi, si aggirerà intorno ai dieci milioni.
La società investitrice ha ottenuto il risarcimento dei danni, pur avendo il Tribunale confermato la sua classificazione di operatore qualificato, superando così le questioni (su quest’ultimo punto) che originariamente caratterizzavano detta tipologia di contenzioso.
“La sentenza” commenta l’Avv. Fabiani “pur non avendo individuato gli eccepiti gravi elementi che generano la nullità del contratto e la presenza di violazioni comportamentali di gravità tale da produrne la risoluzione, perviene ad un sostanziale corrispondente risultato pratico e rappresenta un importante passo avanti nella consacrazione degli obblighi comportamentali cui la banca è normativamente tenuta, a prescindere dalla classificazione del cliente”. Il codifensore Avv. Dalla Zanna aggiunge che “il contratto derivato prosegue nella sua esecuzione tra le parti, non essendone stata dichiarata la nullità o la risoluzione. La cliente avrà quindi l’ulteriore considerevole vantaggio di potere contestare gli ulteriori pagamenti di differenziali a scadenza (al momento stimabili in circa altri due milioni) alla luce della motivazione di cui all’importante pronuncia del Tribunale”.
Va sottolineato anche come la qualificazione del rimborso come risarcimento del danno per responsabilità extracontrattuale attribuita dalla sentenza potrà rappresentare per la società beneficiaria un ulteriore rilevante vantaggio sotto il profilo fiscale non essendo il rimborso soggetto a imposizione.