di Lucio Sironi
«Pronti a cercare soluzioni». Ecco una tipica risposta dei responsabili di turno quando si occupano di problemi più o meno irrisolvibili, con particolare frequenza nel campo economico. Come dire: disponibili a cercare le soluzioni, quanto a trovarle è tutt’altra faccenda. Per esempio la frase è evocata spesso quando in ballo ci sono questioni legate ai trattamenti previdenziali, uno dei punti di scontro più avvertiti, sui quali tutti ritengono di avere molti diritti da mettere in campo. Diritti che nel caso di chi è già in pensione diventano «acquisiti», definizione a cui si ricorre volentieri per intendere che sono intoccabili. In realtà, quando i nodi vengono al pettine, le cose vanno diversamente. È accaduto in Grecia, dove il contenimento dei trattamenti previdenziali fa parte delle richieste di tagli di spesa che il governo di quel Paese deve affrontare per recuperare il gradimento degli altri partner europei, che erogano a favore di Atene un prezioso piano di aiuti. Ma senza doversi spingere fino in Grecia, gli italiani hanno già in casa loro chiari esempi di situazioni di squilibrio in molti enti previdenziali costituiti da categorie di professionisti, che in passato si sono volute distinguere dall’Inps con il dichiarato intento di poter riconoscere ai loro iscritti trattamenti migliori rispetto all’ente pensionistico pubblico. Enti che ora, mancando quel sostegno che l’Inps riceve dalle casse dello Stato, essenziale per farne quadrare i conti anno dopo anno, sono stati i primi a finire in debito d’ossigeno più o meno conclamato. Da qui la necessità, per le varie casse private, con poche eccezioni, di predisporre piani di riequilibrio a base di riduzioni anche drastiche delle prestazioni e di aumento dei contributi. Nella speranza che ciò basti a raddrizzare i conti, aspetto su cui gli attuari nutrono, in taluni casi, più di un dubbio.
Quante sono le bombe a orologeria innestate nel sistema previdenziale nazionale? Il timore è che lo si debba scoprire presto. Del resto che la demografia non giochi a favore dei Paesi europei è risaputo, al punto che i tedeschi offrono oggi accoglienza a gran parte dei migranti del Mediterraneo proprio per invertire una tendenza che, se lasciata correre senza trovare un rimedio, pregiudicherà gli elevati livelli di welfare raggiunti negli anni. Qui in Italia come si pensa di correre ai ripari? Le contromisure finora sembrano affidate perlopiù ai singoli, alla loro capacità e disponibilità a risparmiare per un futuro incerto. Ma anche il risparmio non è più uno strumento alla portata di tanti, perché la crisi erode i redditi e moltiplica i disoccupati, aspetto che rischia anche di minare un sistema pensionistico ancora in buona parte importato sul sistema di calcolo retributivo, che garantisce sì buone pensioni a chi riesce ad andarci, ma a fronte di riserve disponibili e flussi contributivi sempre più magri.
Emblematica, per capire che qualche meccanismo deve cambiare con urgenza, la vicenda del fondo pensione degli agenti assicurativi, gente che dovrebbe conoscere il problema, mentre invece il loro strumento di categoria, denominato Fonage, ha dovuto fare ricorso a un piano di riequilibrio che mira e evitarne il dissesto finanziario. Nella relazione del commissario straordinario si legge che principale motivo della spinosa situazione è «la promessa pensionistica della gestione ordinaria che ha prodotto nel tempo un livello di prestazioni significativamente superiore a quello dei contributi versati». Di qui la richiesta di introdurre «un correttivo che riproporzioni le prestazioni maturate». Sarà solo un caso sporadico? (riproduzione riservata)