Il giornalista non ha diritto ad andare in pensione a settant’anni invece che a sessantacinque grazie al Salva Italia: deve infatti escludersi che le norme previdenziali dettate dal decreto legge 201/11 per i lavoratori iscritti all’Assicurazione generale obbligatoria (Ago) valgano anche per chi afferisce a enti previdenziali privatizzati come l’Inpgi, che paga il trattamento di quiescenza ai professionisti dell’informazione. E ciò anche perché mentre per l’una i requisiti per godere delle prestazioni sono fissati direttamente dalla legge, per i secondi provvedono invece statuti e regolamenti degli enti, per quanto sotto la vigilanza del ministero del lavoro. In ogni caso anche la norma «incriminata», vale a dire l’articolo 24 del Salva Italia, tratta separatamente gli enti previdenziali come l’Inpgi, disciplinando la materia al comma 24 e incaricandoli di provvedere da soli all’equilibrio dei loro conti in modo da poter erogare le prestazioni anche in futuro. È quanto emerge dalla sentenza 17589/15, pubblicata il 4 settembre dalla Cassazione, con cui le sezioni unite civili risolvono una questione finora molto controversa.
Limiti ordinamentali – Altro che diritto potestativo a posticipare il collocamento a riposo del professionista dell’informazione: il richiamo del legislatore ai «limiti ordinamentali» vuol dire che «l’incentivazione» al prolungamento del rapporto non deve entrare in contrasto con le disposizioni che regolano gli specifici comparti. per il giornalista non c’è alcun automatismo, la norma del Salva Italia prefigura solo la formulazione di condizioni previdenziali che costituiscano un incentivo alla prosecuzione del rapporto di lavoro per un lasso di tempo che può estendersi fino a settant’anni. E in ogni caso soltanto se le parti stabiliscono in modo consensuale la prosecuzione del rapporto sulla base di una reciproca convenienza. Norma ambigua – La norma del Salva Italia è «ambigua» ma sarebbe incomprensibile disciplinare in due commi distinti il contenimento della spesa pensionistica dell’Ago e degli enti privatizzati e poi ritenere che le disposizioni del comma 4 possano avere un’estensione così ampia da abbracciare anche posizioni assicurative degli enti di cui al decreto legislativo 509/94 citati al comma 24.
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