di Francesco Ninfole
Il bail-in, ovvero il possibile coinvolgimento in caso di risoluzioni bancarie di azionisti, obbligazionisti e correntisti oltre 100 mila euro, è stato presentato come una rivoluzione per le regole degli istituti di credito. Ora, che la riforma europea, in vigore dal 1 gennaio 2016, sia un’importante novità non c’è dubbio, ma di qui ad immaginare chissà quali pericoli per i risparmiatori ce ne corre.
I rischi sono assai limitati e riguardano solo casi specifici.
Partiamo da chi è al sicuro qualunque cosa accada. I depositanti sotto 100 mila euro non rischiano nulla. Da questo punto di vista, non c’è nessun cambiamento rispetto al passato. Va ricordato, infatti, che la garanzia, secondo le regole del Fitd (Fondo italiano di tutela dei depositi), è per depositante e per banca. Di conseguenza se un depositante possiede due conti in altrettante banche, il livello di copertura è pari a 100 mila euro per ciascuna banca e nel caso di un conto cointestato la garanzia è di 100 mila euro per ciascun depositante, a condizione che i titolari non possiedano altri conti correnti presso lo stesso istituto (per ulteriori approfondimenti si guardi il sito del Fitd). Quindi in presenza di una giacenza liquida elevata conviene suddividere l’importo tra più banche in modo da poter essere coperti in ciascuna fino a 100 mila euro.
Anche gli investimenti che il correntista ha effettuato tramite la banca non rientrano nella procedura di bail-in se i relativi titoli non sono stati emessi dalla banca stessa. Quindi l’oro, come tutto ciò che è stato fisicamente depositato, va restituito al legittimo proprietario. Sono garantiti dal Fitd anche depositi vincolati, assegni circolari e certificati di deposito nominativi (non i pronti contro termine perché sono investimenti e non depositi). La protezione è valida per tutte le banche aderenti al Fitd, anche se online.
Inoltre va sottolineato che la risoluzione di una banca è un evento raro. Non basta che l’istituto sia in perdita. Nel dettaglio, le autorità di risoluzione possono sottoporre una banca a risoluzione se ritengono soddisfatte tutte le seguenti condizioni: a) la banca è in dissesto o a rischio di dissesto (per esempio, quando, a causa di perdite, l’intermediario abbia azzerato o ridotto in modo significativo il proprio capitale); b) non si ritiene che misure alternative di natura privata (quali aumenti di capitale) o di vigilanza consentano di evitare in tempi ragionevoli il dissesto dell’intermediario; c) sottoporre la banca alla liquidazione ordinaria non permetterebbe di salvaguardare la stabilità sistemica, di proteggere depositanti e clienti, di assicurare la continuità dei servizi finanziari essenziali e, quindi, la risoluzione è necessaria nell’interesse pubblico. In generale le crisi bancarie sono fenomeni infrequenti: basti pensare che il Fitd ha deliberato dalla sua costituzione 12 interventi a favore di istituti in crisi (i più importanti sono stati la Cassa di Risparmio di Prato, la Banca di Girgenti, la Banca Valle d’Itria e Magna Grecia, Banca Network Investimenti, Banca Tercas). Le banche sono sottoposte alla vigilanza di Bce e Bankitalia e negli ultimi anni hanno rafforzato il patrimonio e aumentato le coperture sul credito deteriorato.
Anche in caso di risoluzione di una banca, non è detto che siano coinvolti correntisti oltre 100 mila euro. Questa ipotesi si verifica solo se non è sufficiente svalutare tutti i titoli più rischiosi, secondo una precisa gerarchia: innanzitutto si colpiscono le azioni e gli strumenti di capitale; poi i titoli subordinati; poi le obbligazioni e altre passività ammissibili. Perciò le banche dovranno informare adeguatamente i clienti dei rischi che si corrono con l’acquisto di questi strumenti. «È necessario che gli investitori facciano estrema attenzione ai rischi di alcune tipologie di investimento, in particolare al momento della sottoscrizione», ha scritto Bankitalia. «Alla clientela al dettaglio che intende sottoscrivere titoli della banca dovrebbero essere offerti innanzitutto certificati di deposito coperti dal Fondo di garanzia in luogo delle obbligazioni, soggette a bail-in. Allo stesso tempo, le banche dovranno riservare gli strumenti di debito diversi dai depositi agli investitori più esperti, soprattutto quando si tratta di strumenti subordinati, ossia quelli che sopportano le perdite subito dopo gli azionisti».
Dal bail-in sono esclusi, oltre ai conti correnti sotto 100 mila euro, anche le passività garantite, inclusi i covered bond e altri strumenti garantiti; le passività derivanti dalla detenzione di beni della clientela o in virtù di una relazione fiduciaria, come ad esempio il contenuto delle cassette di sicurezza o i titoli detenuti in un conto apposito; le passività interbancarie (ad esclusione dei rapporti infragruppo) con durata originaria inferiore a 7 giorni; le passività derivanti dalla partecipazione ai sistemi di pagamento con una durata residua inferiore a 7 giorni; i debiti verso i dipendenti, i debiti commerciali e quelli fiscali purché privilegiati dalla normativa fallimentare. Le passività non espressamente escluse possono essere sottoposte a bail-in. Tuttavia, in circostanze eccezionali, quando l’applicazione dello strumento comporti, ad esempio, un rischio per la stabilità finanziaria o comprometta la continuità di funzioni essenziali, le autorità possono escludere ulteriori passività (la Bce per esempio ha spinto perché nessun tipo di deposito fosse intaccato in Grecia, neppure in caso di emergenza); tali esclusioni sono soggette a limiti e devono essere approvate dalla Commissione Ue. Le perdite non assorbite dai creditori esclusi in via discrezionale possono essere trasferite al fondo di risoluzione alimentato dalle banche.
È previsto esplicitamente che gli azionisti e i creditori non possano in nessun caso subire perdite maggiori di quelle che sopporterebbero in caso di liquidazione della banca secondo le procedure ordinarie. Le nuove procedure di risoluzione europee potrebbero spingere risparmiatori e investitori verso asset esclusi dal bail-in, come i covered bond. Gli strumenti sotto potenziale bail-in potrebbero invece essere collocati a tassi più alti (soprattutto per le banche meno capitalizzate), facendo aumentare i costi della raccolta per gli istituti e i rendimenti per i clienti. (riproduzione riservata)