di Andrea Di Biase
Per tre giorni (da martedì 29 settembre a giovedì 1° ottobre) Milano diventerà capitale mondiale dei fondi sovrani. Il Fondo Strategico Italiano (Fsi), presieduto dal numero uno della Cassa Depositi e prestiti Claudio Costamagna e guidato dall’amministratore delegato Maurizio Tamagnini, ha infatti organizzato la settima edizione dell’International Forum of Sovereign Wealth Funds (Ifswf), che quest’anno si svolgerà all’Hotel Principe di Savoia nella città dell’Expo e che vedrà la partecipazione dei rappresentanti di 34 fondi sovrani di 31 Paesi, con un patrimonio totale in gestione superiore ai 4.500 miliardi di dollari, nonché di due ministri del governo Renzi (il titolare dell’Economia Pier Carlo Padoan e quello delle Attività Produttive Federica Guidi) e top banker quali il ceo di Ubs Sergio Ermotti e l’ex ad di Bnl Bnp Paribas, oggi alla guida della Cdp, Fabio Gallia.
Obiettivo dichiarato dell’evento è «favorire il dialogo tra membri e la cooperazione internazionale, nell’ambito di processi di investimento trasparenti», nonché «promuovere le attività di ricerca condotte dall’Ifswf» (saranno presentati i risultati di uno studio effettuato congiuntamente dall’Fsi e dalla Kuwait Investment Authority).
Ma la riunione annuale dell’International Forum of Sovereign Wealth Funds rappresenterà anche un’occasione unica per il Fondo Strategico, entrato a far parte di questo consesso nel 2014, di allargare l’attività di networking e favorire la sottoscrizione di nuovi accordi internazionali. Ad oggi Fsi ha sottoscritto cinque accordi con fondi sovrani, attraendo nell’economia italiana un totale di 3 miliardi di euro di investimenti attuali e potenziali. Nel giugno 2014 Fsi e Kia hanno costituito Fsi Investimenti, partecipata al 77% dal fondo guidato da Tamagnini e al 23% dal fondo sovrano del Kuwait e dotata di risorse complessive pari a 2,2 miliardi. Kia ha impegnato nella società risorse complessive per 500 milioni, di cui 352 già versati. L’anno prima (marzo 2013) era stata costituita invece IQ Made in Italy Investment Company, la joint venture tra il Fondo e Qatar Holding. Con una dotazione iniziale di 300 milioni, la società potrà raggiungere un capitale complessivo di 2 miliardi, versato pariteticamente dai due soci. Il perimetro di investimento della joint venture è costituito dalle società italiane che operano in alcuni settori del made in Italy, quali l’alimentare e distribuzione alimentare, moda e beni di lusso, arredamento e design, turismo, tempo libero e lifestyle. Ma i fondi sovrani dei Paesi del Golfo Persico non sono gli unici con cui Fsi ha siglato intese di cooperazione. Nell’ottobre dello scorso anno è stato firmato un accordo di coinvestimento tra il Fondo Strategico e China Investment Corporation (fino a un totale di 1 miliardo), per promuovere la cooperazione economica fra Italia e Cina. A febbraio del 2015 è arrivata un’intesa analoga, anche in termini di dotazione finanziaria, con Korea Investment Corporation. Mentre nel corso del vertice italo-russo del 2013 erano state gettate le basi per avviare una collaborazione tra l’Fsi e il Russian Direct Investment Fund per un investimento paritetico complessivo fino a 1 miliardo. Ma proprio in occasione del summit milanese della prossima settimana potrebbero crearsi i presupposti per attrarre altri soggetti interessanti ad investire. D’altra parte, lo scorso anno l’Italia è stato il target preferito dai fondi sovrani. Secondo i dati pubblicati a fine giugno in uno studio pubblicato dall’Università Bocconi e curato dal direttore del Sovereign Investment Lab, Bernardo Bortolotti, nel 2014 i fondi sovrani hanno investito in Italia 2,21 miliardi di dollari, in crescita del 47% rispetto agli 1,5 miliardi dal 2013. Si è trattato di un dato in controtendenza rispetto all’Europa nel suo complesso. In Germania, ad esempio, gli investimenti dei fondi sovrani si sono ridotti di due terzi (240 milioni contro i 780 milioni del 2013). In Spagna il calo è stato del 78% a 360 milioni da 1,65 miliardi. Mentre in Francia si è passati dalla cifra record di 7,7 miliardi del 2013 a poco meno di 1 miliardo. Un altro dei pochi Paesi in crescita, oltre a Italia e Olanda, è stato, ma fuori dall’Eurozona, il Regno Unito, che ha quasi raddoppiato da 6,61 miliardi a 11,7 miliardi il flusso di investimenti ricevuti e che lo scorso anno ha accolto circa i due terzi del denaro destinato all’Europa. Complessivamente il Vecchio Continente ha visto calare del 10% a 16,4 miliardi di dollari gli investimenti, che si sono impennati invece negli Usa e in Cina: raddoppiati in un caso a 14,75 miliardi (106%) e nell’altro saliti a 8,9 miliardi da 1,13 miliardi.
Nel 2014 chi ha mosso più risorse è stato Singapore con i suoi due fondi, Gic e Temasek, che insieme hanno concluso 57 operazioni per 27,6 miliardi: più del doppio dell’anno prima. La Govern of Singapore Investment Corporation ha immesso da sola 8,1 miliardi nell’immobiliare in America (IndCor). Temasek ha invece concluso la seconda maggiore operazione a valore dello scorso anno, 5,67 miliardi nella catena cinese Watson. Seguono gli Emirati Arabi (Emirates Investment Authority) con 5,66 miliardi nelle telecomunicazioni in Marocco (Itissalat Al Maghrib), quindi la Qia del Qatar, che è stata la più attiva in Italia. Dei 18 maggiori investimenti dei fondi sovrani in Italia degli ultimi tre anni, 13 sono venuti proprio dal Golfo, cioè Qatar (nove operazioni), Kuwait (una), Abu Dhabi (tre). La Qia (Qatar Investment Authority) è in testa con i primi tre posti: le due tranche del quartiere di Porta Nuova a Milano, per un totale di 2,35 miliardi, e Smeralda Holding per 789 milioni. Segue la Kia, Kuwait Investment Authority, con i 684,55 milioni di dollari impegnati in Fsi Investimenti. Quinto e sesto posto a Mubadala che ha investito inPiaggio Aero ed Emi, sesto a Gic con il Roma Est Shopping Centre.
Il fondo più grande al mondo resta comunque quello della Norvegia, che in Italia ha partecipazioni diffuse, principalmente in società quotate. Con 895 miliardi di dollari in gestione, il Government Pension Fund è quasi raddoppiato in quattro anni. Seguono la Cina con i 653 miliardi (da 374) della sua China Investment Corporation e l’Abu Dhabi Investment Authority con 773 miliardi di dollari (da 450).
Secondo i dati raccolti dalla società di consulenza britannica Preqin specializzata in investimenti alternativi, negli ultimi anni il patrimonio dei fondi è costantemente cresciuto, passando dai 3.070 miliardi di dollari di fine 2008 a oltre 6,3 miliardi alla fine del primo trimestre 2015. Nel periodo considerato hanno dunque aumentato il patrimonio gestito più di ogni altra categoria di investitore istituzionale. Ma, al di là della dimensione raggiunta, un aspetto sorprendente della loro ascesa è quanto rapido sia stato il cambiamento di percezione nei loro confronti. Se ieri erano visti come i «nuovi barbari», pronti ad assalire i baluardi del capitalismo occidentale, oggi sono tra gli investitori più corteggiati nei ristretti circoli dell’alta finanza. In questo scenario, i fondi sovrani oggi affrontano una sfida nuova. Per preservare nel tempo e accrescere i propri patrimoni devono optare per la crescita interna, aumentando i rendimenti (e quindi la rischiosità) del proprio portafoglio. Allo stesso tempo, devono considerare che i governi possono chiamarli in causa per stabilizzare l’economia nazionale e quindi prudenzialmente mantenere liquida una parte del patrimonio, per evitare minusvalenze qualora si rendesse necessaria una dismissione forzosa. (riproduzione riservata)