Ritardata conclusione del procedimento amministrativo: danno da ritardo ed indennizzo a carico della p.a. sono fattispecie distinte. La quarta sezione del Consiglio di Stato, con la recente pronuncia n. 2638/2014, ha chiarito la natura giuridica e i limiti operativi delle due forme risarcitorie a carico del pubblico dipendente, conseguenti al mancato rispetto dei termini del procedimento amministrativo.
I due istituti sono collegati all’obbligo della p.a. – ai sensi dell’art. 2 della legge 241/90 – di concludere il procedimento amministrativo con un provvedimento espresso.
Circa i presupposti del danno da ritardo, il giudice ha puntualizzato che la previsione dell’articolo 2-bis della legge 241/90, disponendo che le pubbliche amministrazioni e i soggetti che si ingeriscono nell’esercizio di attività amministrative (si pensi ai concessionari) «sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento», non può mai prescindere dalla dimostrazione concreta, da parte del danneggiato, della imputabilità del comportamento dannoso alla p.a., nonché del nesso di causalità tra condotta e danno subito.
Nella sentenza si segnala che la fattispecie del danno da ritardo non può essere ricollegata al semplice «superamento del termine di conclusione del procedimento amministrativo (senza che sia intervenuta l’emanazione del provvedimento finale)», ma esige «l’inosservanza del termine normativamente previsto come presupposto causale del danno ingiusto (_) cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa di detto termine».
Questa lettura della norma – nonostante un forte orientamento giurisprudenziale contrario teso a far risaltare una sorta di responsabilità oggettiva della p.a. che scaturirebbe dalla semplice violazione del termine conclusivo del procedimento senza l’adozione di un provvedimento – risulterebbe avvalorata, secondo i giudici di Palazzo Spada, dalla introduzione, complementare ma distinta, di una specifica forma di indennizzo da ritardo stabilita nel comma 1-bis dell’articolo 2-bis della legge 241/90.
Proprio con questa recente previsione, il legislatore avrebbe ammesso – limitatamente a procedure relative ad attività di impresa ed in relazione alle sole istanze di parte – il riconoscimento di un indennizzo a carico della p.a. collegandolo alla sola dimostrazione, da parte del danneggiato, della scadenza infruttuosa del termine conclusivo del procedimento.
In particolare, dietro semplice richiesta da esercitarsi entro 20 giorni dall’accadimento, a pena di decadenza.
Secondo il giudice, pertanto, si è in presenza di due ipotesi nettamente distinte e ciò emergerebbe anche dalla circostanza che l’indennizzo da ritardo – fattispecie, inoltre, sperimentale della durata di 18 mesi dall’entrata in vigore della legge 98/2013 – qualora concorresse con la distinta obbligazione risarcitoria del danno da ritardo dovrà essere ridotto, come dispone la norma, delle somme complessivamente riconosciuta a tale ultimo titolo.
Aspetto che invece accomuna le due previsioni, prosegue il collegio nella sentenza in commento, e che caratterizza in particolare la fattispecie del risarcimento del danno da ritardo, è che entrambe presuppongono che si verta nell’ambito di un procedimento amministrativo, non potendo le norme applicarsi ad ipotesi di attività della pubblica amministrazione diversa da quella procedimentalizzata.
Infatti, nel caso in esame, non è stata riconosciuta alcuna forma di indennizzo perché si era in presenza non di procedimento amministrativo ma di mera attività materiale ed in particolare, di una attività relativa alla mancata esecuzione ed ultimazione delle opere edilizie di attuazione di un piano d’insediamenti produttivi.
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