di Paola Valentini
Gli italiani sono risparmiatori instancabili. Nonostante tutto. Nel 2013 i loro risparmi sono cresciuti di 29 miliardi. Ma questo denaro resta accantonato per scopi precauzionali a fronte del difficile quadro macroeconomico generale. Non a caso in questo momento famiglie e imprese italiane siedono su una montagna di liquidità stimata in circa mille miliardi di euro. Un tesoro tenuto parcheggiato in banca (740 miliardi a fine 2013) o in altri strumenti liquidi come rete di protezione per le emergenze. E che rappresenta un’opportunità di crescita per l’industria del risparmio gestito, che dopo anni di crisi da inizio 2013 è tornata alla ribalta. E sono di oltre 60 miliardi i flussi di risparmio raccolti durante il primo semestre del 2014. In metà anno dunque il sistema ha raccolto quasi quanto in tutto il 2013, ovvero 62,5 miliardi, che rappresentavano già il miglior risultato degli ultimi 13 anni. In tutto, da inizio 2013 a oggi, si tratta di 122 miliardi confluiti nei prodotti di asset management, incluse assicurazioni e strumenti di previdenza.
Ma sono i fondi aperti i veri protagonisti di questo exploit. Nel primo semestre 2014 hanno registrato afflussi netti per 42,8 miliardi (solo 3,7 in meno rispetto alla raccolta di tutto il 2013) per un totale nei 18 mesi di 88,7 miliardi. Al 30 giugno gli asset investiti in queste gestioni collettive erano saliti a 622 miliardi dai 481 di inizio 2013. Tanto che, sulla base dei dati di Banca d’Italia sul primo trimestre 2014, Assogestioni sottolinea che «si conferma il ritorno di fiamma tra fondi comuni e risparmiatori italiani: dopo anni dominati dalla passione per Bot e Btp, gli investitori abbandonano la via del fai-da-te per affidarsi ai gestori». Nei primi tre mesi di quest’anno, secondo Banca d’Italia, «il popolo dei Bot People ha investito in fondi comuni 16,5 miliardi e oggi il patrimonio degli italiani gestito da questi strumenti ammonta a 327 miliardi», commenta Assogestioni. «Numeri ben lontani da quelli registrati dai tanto amati Btp, che in tre mesi hanno registrato deflussi per 7,8 miliardi, trend negativo che va avanti da cinque trimestri consecutivi», rincara l’associazione presieduta da Giordano Lombardo. D’altra parte, viste la drastica riduzione dei rendimenti dei titoli di Stato italiani e le buone performance dei fondi almeno fino al 2013, molti risparmiatori sono tornati a guardare a questi ultimi prodotti come a un modo per investire su mercati più redditizi e difficilmente accessibili direttamente. Ma, come spiegano alcuni analisti, il ritorno ai fondi questa volta non premia più soltanto i comparti specializzati sulle obbligazioni, che per anni sono stati l’investimento principale nei portafogli degli italiani, ma anche i fondi flessibili.
È un segnale che le famiglie tendono a prendere rischi più calcolati rispetto al passato, dal momento che questa categoria di comparti consente al gestore di cambiare l’allocation del fondo per adeguarsi alle rotazioni dei mercati. E le banche italiane che sono tornate a collocare i fondi dopo anni di assenza hanno scelto proprio prodotti in linea con le preferenze dei risparmiatori con il lancio di fondi obbligazionari flessibili, spesso a scadenza e con la cedola per rassicurare gli investitori nel delicato passaggio dai Btp al mondo del risparmio gestito. Non a caso in vetta alla classifica della raccolta netta tra i fondi aperti da gennaio 2013 a fine giugno 2014 ci sono grandi gruppi come Intesa (che ha ottenuto 12 miliardi, di cui 11,2 relativi a Eurizon sgr) e Unicredit (9,9 miliardi con Pioneer). Il primo operatore estero è in quinta posizione: Jp Morgan con flussi per 5,94 miliardi. Tale risultato è appena superiore ai 5,92 miliardi raccolti da Invesco, che ha registrato un exploit negli ultimi mesi proprio per aver puntato sui fondi con cedola e oggi sui bilanciati; oggi il gruppo gestisce in Italia 13,2 miliardi, più del doppio rispetto ai 6,4 miliardi di fine 2012. (riproduzione riservata)