Gli italiani non amano molte le polizze per la salute, per assicurarsi la vita o per costruirsi una pensione di scorta. Il tasso di diffusione nel Paese di prodotti di protezione è ancora meno della metà della media europea, lontano anni luce da mercati come quello svedese. E da qualche giorno a questa parte c’è un motivo in più per non andare dall’assicuratore.
Oltre alle polizze per invalidità superiore al 5%, sia nel caso di malattia che di infortunio.
Per quanto riguarda il primo intervento, quello sui vecchi prodotti vita, benché si tratti di una mossa certamente non giustificata agli occhi di chi anni fa aveva comprato quelle polizze incentivato dagli stimoli fiscali, in quel
taglio si potrebbe vedere contenuta una sorta di equità fiscale se si pensa quelle vecchie polizze era sfuggite alla mannaia del fisco proprio nel 2000, quando, per tutti i nuovi prodotti vita fu cancellato del tutto l’incentivo Irpef. Insomma, c’è stato un allineamento per tutti i sottoscrittori di polizze vita, vecchi e nuovi. Anzi, tutto sommato quei vecchi strumenti contengono ancora una detrazione fiscale, seppur minima. Ma bisogna aggiungere almeno altre due considerazioni: quelle polizze, spesso, erano state stipulate a fini previdenziali, visto che all’epoca non c’erano ancora né fip (fondi integrativi di previdenza) né fondi pensione. Insomma, erano stati acquistati per costruirsi una pensione di scorta di cui gli italiani, e il governo lo sa bene, avranno sempre più bisogno. Oltre a questo si consideri che quei vecchi prodotti prevedono tuttora la tassazione del 2,5% dei premi versati alla compagnia. Così per chi paga premi annui superiori a 2 mila euro le tasse da pagare su quanto versato supereranno gli incentivi che resteranno in piedi dall’anno prossimo. Cosa fare? Liquidare non sembra conveniente visto che spesso quei vecchi prodotti hanno tassi di rendimento garantito che si avvicinano al 4-5%, molto più alti rispetto a quanto si trova oggi sul mercato. La soluzione migliore potrebbe essere quindi quella di non versare più nuovi premi, lasciando che la polizza arrivi alla sua naturale scadenza.
In ogni caso l’intervento che più di tutti ha spiazzato ogni previsione è stato quello che ha tagliato gli incentivi fiscali per le polizze vita puro rischio e soprattutto per le long term care. «Una scelta miope», l’hanno definita dall’Ania, l’associazione che rappresenta le compagnie di assicurazione, perché si tratta di prodotti, specie quelli per la perdita di autosufficienza, che andrebbero ulteriormente incentivati per spingere gli italiani a garantirsi una rendita o un capitale indispensabile per evitare di affossare il bilancio familiare in caso di necessità. Soprattutto alla luce del fatto che la sanità pubblica è destinata a ridimensionarsi, offrendo sempre minori prestazioni a una popolazione che sta invecchiando.
Insomma, anche nel settore della sanità ci sarebbe piuttosto bisogno d un intervento simile a quello avvenuto per la previdenza integrativa: quando si mise mano per la prima alle pensioni pubbliche si pensò subito anche agli inventivi fiscali per spingere gli italiani a costruirsi una pensione di scorta (quelli, almeno per ora, non sono stati toccati). Mentre nella sanità si sta procedendo nella maniera opposta: nonostante i tagli agli ospedali e all’assistenza, gli incentivi per aderire a prodotti di sostegno al reddito in caso di perdita di autosufficienza si stanno assottigliando. «Il danno maggiore, paradossalmente, non è tanto per chi quelle polizze le ha già sottoscritte, ma piuttosto per chi ne avrebbe molto bisogno e ha visto venir meno gli incentivi fiscali che di sicuro avrebbero fatto comodo», commenta Andrea Poggi, partner Deloitte, responsabile Strategy consulting. Anche perché «se c’è un fatto positivo che la crisi ha provocato», continua Poggi, «è l’accresciuta consapevolezza degli italiani di vivere in un mondo più difficile, dove c’è bisogno di più protezione».
I tagli agli incentivi fiscali rappresentano però un segnale esattamente opposto, che spinge gli italiani a proteggersi sempre meno, tra l’altro con effetti negativi per le stesse finanze pubbliche, nel lungo termine. «Per tre ragioni», conclude Poggi, «perché incentivi al settore e una crescita della raccolta implicherebbero anche maggiori tasse da pagare e di conseguenza più entrare per i conti pubblici. Mentre senza assistenza privata lo Stato è destinato a spendere sempre di più. Non solo», dice, «si tratta di prodotti che danno più stabilità ai bilanci familiari e quindi possono essere utili per stimolare i consumi». Considerando per di più che secondo i calcoli dell’Ania il 90% delle persone che godeva delle detrazioni dimezzate dispone di un reddito fino a 55 mila euro. Non certo ricconi. (riproduzione riservata)