Marco Panara
Banca Carige non è uno scandaletto di provincia. Non ha le dimensioni della vicenda Mps, ma la richiama alla mente. A cominciare dal peso della Fondazione nell’azionariato, un 47 per cento che la mette in cima alla classifica delle fondazioni con partecipazioni bancarie. La banca ha avuto nel presidente Giovanni Berneschi il padre padrone per 25 lunghissimi anni, con un annesso di protezioni politiche (leggi soprattutto – ma non solo – Scajola) e vaticane (leggi soprattutto Bertone), la cui altra faccia è una politica del credito della quale la parola “politica” ha un significato preciso. Prestiti facili, sospetti di riciclaggio, operazioni finanziarie e cessioni dubbie, sono il risultato di una governance inefficace – come hanno scritto gli ispettori di Banca d’Italia – e forse compiacente – come stabilirà la magistratura alla quale le istituzioni di vigilanza hanno consegnato il loro rapporto. Ora ci sono 800 milioni da trovare mentre il nuovo consiglio di amministrazione che dovrebbe segnare la svolta sembra più di continuità che di cambiamento. E’ la solita lezione che ci ostiniamo a non imparare: se vogliamo che le banche funzionino l’azionista non deve entrare nella gestione ma deve avere la forza di controllare; la politica, in tonaca e non, deve stare lontana dalle banche; il potere non può essere eterno, e 25 anni alla guida di una banca sono un’eternità.