Personale doc per i lavori in ambienti confinati. Quando non sono dipendenti a tempo indeterminato dell’azienda incaricata, gli addetti ai lavori devono essere obbligatoriamente in possesso di un contratto di lavoro certificato dalle apposite commissioni di certificazione istituite ai sensi della riforma Biagi (dlgs n. 276/2003). Se manca la certificazione scatta la sanzione, per il datore di lavoro e il dirigente, dell’arresto da due a quattro mesi oppure dell’ammenda da 1.096 a 5.261 euro. A precisarlo è il ministero del lavoro nella nota protocollo n. 11649/2013, con cui illustra l’ambito applicativo del regolamento (approvato dal dpr n. 177/2011) per la qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi che operano in ambienti sospetti di inquinamento o confinati.
Le regole per gli ambienti confinati. I chiarimenti riguardano il dpr n. 177/2011, il regolamento che disciplina il sistema di qualificazione di imprese e lavoratori autonomi destinati a operare nel settore di ambienti sospetti di inquinamento o confinati, quali individuati ai sensi degli articoli 66 e 121 del T.u. sicurezza. Il regolamento stabilisce che qualsiasi attività lavorativa in questo settore può venire svolta unicamente da imprese o lavoratori autonomi qualificati in ragione del possesso dei specifici requisiti.
Certificazione contratti obbligatoria. Tra i requisiti è prevista la «presenza di personale, in percentuale non inferiore al 30% della forza lavoro, con esperienza almeno triennale relativa a lavori in ambienti sospetti di inquinamento o confinati, assunta con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato ovvero anche con altre tipologie contrattuali o di appalto, a condizione, nella seconda ipotesi, che i relativi contratti siano stati preventivamente certificati». Su tali condizioni è stato chiesto al ministero maggiori dettagli, in particolare sull’obbligatorietà della certificazione dei contratti ai sensi del Titolo VIII, capo I, del dlgs n. 276/2003 (riforma Biagi) per il personale impiegato nei predetti lavori in ambiente sospetti di inquinamento o confinati in regime di appalto o subappalto.
In via generale, spiega il ministero, l’art. 2 del dpr n. 177/2011 prevede che qualsiasi attività lavorativa, nel settore degli ambienti sospetti di inquinamento o confinati, può essere svolta soltanto da imprese o lavoratori autonomi che siano in possesso dei requisiti previsti dallo stesso articolo tra cui la «presenza di personale, in percentuale non inferiore al 30% della forza lavoro, con esperienza almeno triennale relativa a lavori in ambienti sospetti di inquinamento o confinati, assunta con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato ovvero anche con altre tipologie contrattuali o di appalto, a condizione, nella seconda ipotesi, che i relativi contratti siano stati preventivamente certificati». Inoltre, qualora l’appaltatore si avvalga di professionalità attraverso forme contrattuali diverse da quelle del «rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato» è necessario che i relativi contratti siano certificati. La certificazione dei contratti di lavoro, sottolinea il ministero, assume una valenza obbligatoria e non più facoltativa (art. 75, dlgs n. 276/2003) «in quanto si vuole evitare, sulla scorta dei gravi incidenti avvenuti in passato, l’utilizzo di personale non specializzato in attività ad alto rischio di infortuni».
Campo di applicazione. In merito al ricorso al subappalto, il ministero fa presente che l’art. 2, comma 2, del dpr n. 177/2011 prevede che «in relazione alle attività lavorative in ambienti sospetti di inquinamento o confinati non è ammesso il ricorso a subappalti, se non autorizzati espressamente dal datore di lavoro committente e certificati (_)» e che «le disposizioni (_) si applicano anche nei riguardi delle imprese o dei lavoratori autonomi ai quali le lavorazioni vengano subappaltate». Di conseguenza, per quanto concerne l’ambito di applicazione il regolamento «si applica ai lavori in ambienti sospetti di inquinamento di cui agli articoli 66 e 121 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, e negli ambienti confinati di cui all’allegato IV, punto 3, del medesimo decreto legislativo». Inoltre, le disposizioni sul subappalto e quelle sul coordinamento (art. 3, comma 1 e 2), sono vigenti unicamente «in caso di affidamento da parte del datore di lavoro di lavori, servizi e forniture all’impresa appaltatrice o lavoratori autonomi all’interno della propria azienda o di una singola unità produttiva della stessa, nonché nell’ambito dell’intero ciclo produttivo dell’azienda medesima, sempre che abbia la disponibilità giuridica dei luoghi in cui si svolge l’appalto o la prestazione di lavoro autonomo».
Perciò, evidenzia il ministero, la restante parte del regolamento (il dpr n. 177/2011) si applica anche a chi svolge i lavori in ambienti confinati oppure sospetti di inquinamento senza ricorso ad appaltatori o a lavoratori autonomi esterni.
Le sanzioni. In caso di appalto o subappalto di lavori in ambienti sospetti di inquinamento o confinati, inoltre, il committente è obbligato ad applicare l’articolo 26 del T.u. sicurezza (dlgs n. 82/2008) nonché il dpr n. 177/2011. La verifica dell’idoneità tecnico professionale consiste nell’acquisizione non solo del certificato di iscrizione alla camera di commercio, industria e artigianato, ma anche di quanto viene previsto dall’art. 2 del dpr n. 177/2011. Pertanto, circa i provvedimenti sanzionatori da adottare qualora un datore di lavoro non ottemperi alle prescrizioni in materia di certificazione dei contratti, il ministero ritiene applicabile, nei confronti del committente, la sanzione concernente la non corretta verifica della idoneità tecnico professionale delle imprese appaltatrici o dei lavoratori autonomi prevista dall’art. 26, comma 1, lett. a) e sanzionata dall’art. 55, comma 5, lett. B), dlgs n. 81/2008).
© Riproduzione riservata