di Andrea Di Biase 

Potrà suonare paradossale, almeno a giudicare dalla storia di Mediobanca degli ultimi 30 anni, ma la svolta impressa in Piazzetta Cuccia da Alberto Nagel, finalizzata a riposizionare l’istituto sull’attività bancaria, smobilizzando buona parte del portafoglio di partecipazioni, assomiglia molto a un ritorno alle origini.

Come aveva fatto brillantemente notare ormai qualche decennio fa l’economista Napoleone Colajanni nel suo «Il capitalismo senza capitale», nella prima fase della sua storia, tra il 1946 e il 1956, «Mediobanca è stata prevalentemente un istituto di finanziamento e non di partecipazioni». Dieci anni dopo la sua fondazione, il peso delle partecipazioni, comprese le quote rilevate nei collocamenti azionari, sull’attivo della banca d’affari guidata da Enrico Cuccia era pari al 22% . «Una proporzione rilevante», scriveva Colajanni, «ma non tale da consentire di assimilarla a una holding». Oggi, dopo una prima tranche di dismissioni, pari a 3,3 miliardi, avviata nel 2004, subito dopo l’uscita dalla banca di Vincenzo Maranghi, e sospesa nel 2007, anche alla luce del deprezzamento dei corsi di borsa, il peso del portafoglio azionario sull’attivo di Mediobanca è del 6,2%.

Ed è destinato a scendere ulteriormente nei prossimi mesi, visto che Nagel ha annunciato la progressiva dismissione di titoli azionari (comprese le quote in Telco, Rcs, Gemina,Italmobiliare e Pirelli) per altri 1,5 miliardi. Nel 2016, al termine dell’orizzonte del piano, nel portafoglio della banca d’affari figurerà ancora qualche investimento di merchant banking (ad esempio Sinergia) ma ci sarà una sola partecipazione strategica, le Generali. Il cui peso sarà comunque inferiore a quello attuale, passando dal 13,24% a una quota vicino al 10%. A dimostrazione del fatto che i tempi sono cambiati, proprio ieri, nel corso della presentazione dei conti agli analisti, Nagel ha voluto dare un altro messaggio forte in questa direzione, suggerendo allaGenerali (di cui Mediobanca è pur sempre il primo socio) di uscire dal patto di sindacato di Piazzetta Cuccia (come già fatto da Unipol-FonSai) in coerenza con la nuova strategia del Leone di focalizzarsi sul business assicurativo. C’è comunque chi rimprovera al management di Mediobanca di essersi comunque mosso in colpevole ritardo sulla strada della cessione delle partecipazioni e dell’addio ai salotti, bruciando così centinaia di milioni in investimenti «di sistema» poco redditizi, e di avere rotto gli indugi solo ora che le condizioni del mercato e il nuovo quadro regolamentare sul capitale delle banche lo rendono inevitabile. Una critica che il vertice della banca d’affari sembra accogliere solo a metà, facendo notare che, almeno fino al 2011, gli equilibri nell’azionariato della banca, dove forte era l’influenza dell’ex presidente Cesare Geronzi, non consentivano di spingere sull’acceleratore. A partire da quel momento, viene fatto notare, le cose sono cambiate e, in un percorso condiviso con il consiglio di amministrazione, sono state messe in vendita anche partecipazioni sensibili comeRcs, di cui Mediobanca è stata a lungo il primo azionista, e Telco. L’impegno è ora quello di rafforzare le attività bancarie, tornando a essere punto di riferimento per le grandi e medie imprese italiane nelle attività di consulenza e capital management, in un contesto di mercato che rimane comunque difficile, focalizzandosi nel contempo su nuove attività a minor assorbimento di capitale, come la nuova piattaforma di alternative asset management (Maam) e puntando ad espandersi ulteriormente all’estero. Un compito che gli analisti ritengono arduo, sia alla luce della debolezza che potrebbe caratterizzare ancora l’economia italiana per i mesi a venire, sia di fronte alle difficoltà che Piazzetta Cuccia potrebbe incontrare nel fare il suo ingresso su mercati esteri già fortemente presidiati da altre blasonate investment bank. (riproduzione riservate)