di Giuseppe Di Vittorio 

Il calo dei volumi c’è stato, ma è difficile attribuirlo unicamente all’entrata in vigore, da ieri, della Tobin Tax. Il Ftse Mib, il principale derivato quotato a Piazza Affari, ha inanellato in termini di volumi una delle peggiori sedute degli ultimi tre mesi. L’alibi di Wall Street, chiusa per la festività del Labor Day, però è credibile. Gli scambi in termini di lotti hanno replicato lo stesso andamento delle giornate di chiusura della piazza americana in prossimità del week end. Le autorità di politica monetaria e finanziaria non dovrebbero però abbassare la guardia. Dax ed Eurostoxx, soprattutto nella mattinata, non hanno sofferto allo stesso modo della chiusura Usa. Il bilancio non è del tutto negativo. Proseguendo l’analisi degli effetti del primo giorno di Tobin sul Sedex, il mercato dei certificati e covered warrant, le cose non sono andate cosi male. La tassa su questi prodotti è ancora più bassa rispetto a quella dei future, che è già irrisoria. Sui prodotti del Sedex e sulle opzioni l’imposta si paga sul valore della transazione e non sul nozionale, con risparmi fiscali notevoli. Paradossalmente questo genere di prodotti potrebbero intercettare parte della liquidità in uscita dai future. Per quanto riguarda i cfd, gli operatori si sono presentati un po’ in ordine sparso all’appuntamento con la tassa. Ig Markets ha preferito puntare sull’innovazione trasformando i suoi prodotti in ragione di risparmi fiscali (ActivTrades e Xtb faranno valere il loro ruolo di sostituto di imposta), mentre il resto dei broker sta decidendo se delistare i prodotti sull’Italia, pagare l’imposta per conto dei clienti oppure offrire il servizio di sostituto di imposta. Nel dettaglio, il broker inglese ha quotato un nuovo prodotto che dovrebbe intercettare la liquidità in fuga dal cfd su indice italiano per via dei costi fiscali. Nella sostanza al posto del cfd è stato creato un future. Il cliente pagherà soltanto l’apertura della posizione e non la chiusura. Il risultato di queste due manovre consentirà ai clienti di Ig un risparmio fiscale notevole. «Delistare il prodotto italiano può essere una soluzione», ha spiegato un operatore, «ma il broker lo deve fare per tutti i clienti del mondo». La Tobin si paga infatti a prescindere dalla residenza del trader o dell’investitore. Alcuni broker si stanno caricando del pagamento dell’imposta per conto dei clienti ma contestualmente hanno previsto l’allargamento degli spread (il differenziale fra denaro e lettera) compensando così i maggiori oneri. Una soluzione praticabile ma che va ben vestita giuridicamente, in quanto il soggetto passivo dell’imposta rimane unicamente il contribuente. Per chi offre servizi di negoziazione non è tanto l’entità dell’imposta che pesa, ma le incombenze burocratiche a carico proprio di banche e imprese di investimento. Le problematiche maggiori sono quelle relative all’iscrizione all’anagrafe tributaria italiana, al calcolo e al versamento dell’imposta. Va poi tenuto conto di tutti i rischi di sanzione e reputazione connessi. Volumi più bassi sul mercato vanno a danno dell’efficienza e fanno lievitare gli spread, i rischi di manipolazione e la volatilità. Del resto è difficile immagine il contrario; una tassa sugli scambi produce sempre una contrazione dell’operatività, soprattutto se esistono dei prodotti esentati. Il problema di questi giorni sarà capire l’entità dei danni. Su questo punto l’Italia si gioca fra l’altro una grossa parte della propria reputazione finanziaria. I derivati tricolore saranno gli unici a essere tassati in tutto il mondo. Sulle azioni siamo in compagnia delle sole Francia e Ungheria. La future imposta che hanno deciso di adottare 11 dei 27 Paesi dell’Unione Europea e che dovrebbe includere anche in derivati, rischia di fine nel cassetto a causa dei veti incrociati. (riproduzione riservata)