di Andrea Di Biase
Che un ciclo decennale si sia ormai concluso è evidente, non solo in politica, ma anche nel sistema finanziario italiano. Nel periodo compreso tra il 2001 e il 2011, che ha visto compiersi, seppur inframezzata dalla breve parentesi prodiana (2006-2008), la parabola del potere berlusconiano, il mondo della finanza milanese si è retto sull’equilibrio raggiunto dopo la cacciata di Vincenzo Maranghi dalla guida di Mediobanca. Un equilibrio che non ha riguardato solo la governance della principale banca d’affari del Paese e delle società da questa partecipate (Generali e Rcs, cui dal 2007 si è aggiunta anche Telecom Italia), ma anche altre grandi istituzioni finanziarie, come la bazoliana Banca Intesa (poi Intesa Sanpaolo) e il Monte dei Paschi di Siena, per anni presidio nel mondo finanziario del potere dalemiano. Una volta messo fine all’egemonia della Mediobanca di Enrico Cuccia (scomparso nel giugno 2000) e del suo delfino Maranghi, gli artefici di quel cambiamento hanno incassato il dividendo, in termini di potere, di quell’operazione, senza tuttavia assurgere a quel ruolo di guida solitaria del sistema che aveva avuto lo stesso Cuccia nei decenni precedenti. Ciononostante l’allora presidente di Capitalia, Cesare Geronzi, forte dell’asse con Vincent Bolloré e con il mondo vicino a Silvio Berlusconi (premier dal 2001 al 2006 e dal 2008 al 2011), l’ex ad di Unicredit, Alessandro Profumo, apparentemente disinteressato ai grandi giochi di potere ma sempre pronto a spendere la propria influenza nei momenti chiave, e il presidente di Intesa, Giovanni Bazoli, di cui è nota la vicinanza a Romano Prodi, sono stati per anni, pur nell’ambito di una dialettica fatta di scontri e repentini riavvicinamenti, i protagonisti delle principali partite giocate nel sistema. Non è un caso che sia stato proprio dopo l’allontanamento di Profumo dal vertice di Piazza Cordusio e del passaggio di Geronzi alle Generali (la cui avventura a Trieste è durata meno di un anno), con un Bazoli in fase di tattico ripiegamento e con il sistema di potere berlusconiano ormai agonizzante, che l’attuale management di Mediobanca, erede della tradizione maranghiana e guidato dall’ad Alberto Nagel e dal presidente Renato Pagliaro, abbia tentato di riportare la banca d’affari alla sua antica centralità, seppur con metodi (un maggior coinvolgimento degli alleati) e obiettivi differenti rispetto al passato. Il filotto di risultati messi a segno dal duo Nagel-Pagliaro nelle principali partite (dall’allontanamento di Geronzi dal vertice del Leone alla nuova governance di Bpm e Rcs fino alla sostituzione di Giovanni Perissinotto con Mario Greco al timone delle Generali) è stato messo a segno quando quell’antico equilibrio era ormai saltato. E nonostante le difficoltà incontrate sui dossier Unipol-FonSai (comunque chiuso favorevolmente per Mediobanca) e Impregilo, finora nessuno ha avuto la forza di ridimensionare la rinascente egemonia di Piazzetta Cuccia e del suo vertice. Forse i tempi non sono ancora maturi per un cambiamento radicale, ma la solidarietà espressa all’unanimità a Nagel dal cda di Mediobanca di mercoledì 5 settembre, pur a fronte dei veleni fatti filtrare a mezzo stampa, dimostrerebbe che, almeno per ora, non si è ancora costituito un nuovo asse di potere capace di fare da contraltare a Piazzetta Cuccia. Anche perché gli stessi grandi soci della banca d’affari non sembrano essi stessi navigare in acque tranquille. L’Unicredit di Federico Ghizzoni, che è stata a fianco di Mediobanca e di Nagel nell’operazione Unipol-FonSai, è ancora a metà di quel processo di rilancio iniziato lo scorso anno con la maxi-pulizia di bilancio e l’aumento di capitale da 7,5 miliardi. Lo stesso Bolloré è finito invischiato negli strascichi della vicenda FonSai-Ligresti, dopo che la Consob ha acceso un faro sugli acquisti di titoli Premafin effettuati dal finanziere bretone nell’autunno del 2010. Lo stesso gruppo Fininvest ha ben altri problemi da affrontare e difficilmente potrebbe aprire in questa fase uno spinoso fronte in Mediobanca. Un ragionamento che vale anche per Marco Tronchetti Provera, che, seppur rilanciato in grande stile dagli ottimi risultati di Pirelli, deve comunque confrontarsi con la fronda interna agitata dalla famiglia Malacalza e potrebbe dunque non ritenere opportuno privarsi dello storico appoggio di Piazzetta Cuccia. Più che gli attuali soci della banca d’affari, dunque, a scuotere gli equilibri nel sistema finanziario potrebbero essere altri soggetti, accomunati dal fatto di avere a disposizione una consistente liquidità: Francesco Gaetano Caltagirone, Diego Della Valle e Leonardo Del Vecchio. Potrebbero essere questi importanti imprenditori, con le loro mosse future, a contribuire a ridisegnare gli assetti di vertice nella Galassia. Del Vecchio, che è già azionista delle Generali col 3% e di Unicredit con il 2%, forte dei 486 milioni incassati dal collocamento del 3,8% di Luxottica, ha un nuovo tesoretto cui attingere per rafforzare il proprio ruolo nelle due società, e non è escluso che possa decidere di investire anche nella stessa Mediobanca. Una mossa analoga a quella che, secondo indiscrezioni di mercato, avrebbe già fatto Della Valle. Si dice infatti che il patron della Tod’s, uscito polemicamente dal patto della banca d’affari e da quello di Rcs, abbia guardato con molta attenzione i bilanci di Mediobanca, e possa essere dietro il rally estivo del titolo di Piazzetta Cuccia. Più attendista, almeno per ora, sembra essere invece Caltagirone, anch’egli come Del Vecchio azionista sia di Unicredit sia delle Generali, di cui è anche vicepresidente e componente del comitato esecutivo che venerdì 7 settembre ha sancito il nuovo organigramma di vertice voluto dal nuovo ceo Mario Greco. Organigramma che prevede il passaggio di Raffaele Agrusti, finora il vero uomo forte del Leone, dal ruolo di cfo a quello di country manager per l’Italia, con il passaggio della gestione degli investimenti finanziari e immobiliari direttamente allo stesso Greco. Fintanto che non ci sarà qualche elemento di chiarezza sul fronte politico, tuttavia, difficilmente i disegni di riassetto del sistema finanziario potrebbero andare a buon fine. In primavera, oltre al rinnovo dei cda di Generali, Telecom e dei consigli di Intesa, dovrebbero tenersi anche le elezioni politiche e successivamente alla formazione del nuovo governo, il Parlamento dovrà eleggere anche il nuovo capo dello Stato. Tutte variabili che potrebbero incidere anche in un risiko finanziario ancora in cerca di autore. (riproduzione riseravata)