Abdrea Greco
Milano Nove mesi molto lunghi alle spalle, sei davanti per redigere l’agenda al 2016 di Intesa Sanpaolo. L’amministratore delegato Enrico Cucchiani si affaccia su un impegnativo semestre con tre priorità precise. Semplificare la governance, affidando il consiglio di gestione (e prima l’organigramma) a una manciata di fidati dirigenti. Razionalizzare la Banca dei territori, rete italiana che non va male ma ha farraginosità e costi non più sostenibili nella nuova stagione. Acuire presenza e vocazione internazionali, non abbastanza battuti dal predecessore Corrado Passera eppure imprescindibili nel mondo d’oggi. Il nuovo capoazienda, in funzione dal dicembre 2011, sta uscendo dalla prima fase, di conoscenza della macchina interna. Ex assicuratore (Allianz), manager (Gucci), consulente (Mc Kinsey), mai Cucchiani era stato banchiere. Ha imparato passando lunghe ore chiuso nel suo ufficio, in comunicazione costante con chi in Mc Kinsey c’è rimasto. E poco permeabile alla struttura interna, formata per un decennio ai metodi del capo precedente, e che ha vissuto qualche fisiologico disagio. Va premesso che la banca ha tenuto, confermandosi nave solida tra i marosi grazie al grado elevato di capitale e liquidità, e all’apporto crescente dei profitti su trading e mercati targati Banca Imi. Lo spaccato dei risultati netti semestrali, per dare l’idea, parla di 832 milioni per la divisione mercati e imprese (-9%), 579 milioni la rete italiana (+80%), 38 milioni Eurizon (+2,7%), 65 milioni Fideuram (-38%), 53 milioni le banche estere (un quarto dell’anno prima). Dentro e fuori la banca c’è concordia su quali sono i punti su cui far leva per aumentare la redditività, in caduta strutturale. Il primo e maggiore è la rete italiana: 5.579 filiali leader di mercato (con almeno il 20% di tutti i mestieri bancari) ma anche una zeppa da 5,6 miliardi l’anno di costi operativi, due terzi dei quali in capo al personale, e una ventina di marchi tra territoriali e non, frutto del decennio di acquisizioni alle spalle. Con lo spread attuale, i tassi di interesse ai minimi, e transazioni allo sportello in calo del 15% l’anno, questa struttura di costi non si giustifica più. Lo sapevano bene anche Passera e Marco Morelli (capo di Bdt uscito mesi fa per scarsa compatibilità con Cucchiani, e che ha preferito tornare al primo mestiere di investment banker, con un ruolo di rilievo a Merrill Lynch). Finora, però, i veti delle tante fondazioni azioniste – Compagnia Sanpaolo, Cariplo, Cariparo, Carisbo e Carifirenze hanno il 25% delle quote – hanno frenato tagli radicali e soppressioni di marchi in loco. Per razionalizzare le insegne del gruppo nelle Marche ci son voluti due anni, e da pochi giorni Intesa Sanpaolo spa è riuscita a inglobare Biis, Btb, Sep, e smistare più omogeneamente le agenzie Carifirenze fuori dalla Toscana, spalmandoli su Carisbo, Cassa del Veneto e Intesa Sanpaolo spa. Questa rivisitazione della rete si intensificherà presto, anche se non è chiaro se verso il modello di “banca unica” (tipo la rivale Unicredit) o salvaguardando pochi marchi forti, o per processi. Altro punto da migliorare è la proiezione estera. Il Passera banchiere non ebbe mai l’audacia del “colpo grosso” straniero, neanche quando, agli anni del picco, la sua carta azionaria valeva 100 miliardi. E puntò sulla “banca per il paese” alla vigilia della peggiore recessione italiana. Oggi i limiti di quella strategia – in termini di volumi calanti, cattivo credito e mentalità un po’ endogamica del management interno – si vedono. E i network costruiti in Albania, Bosnia, Croazia, Egitto, Russia, Repubblica Ceca, Romania, Serbia, Slovacchia, Slovenia, Ucraina e Ungheria non pesano abbastanza su ricavi e utili. Cucchiani, finora più che altro con la comunicazione, ha saputo, come dice un suo rivale, «alzare il posizionamento della banca nell’arena politica e internazionale». Ma è chiaro, ed è stato detto ai consiglieri del gruppo nelle riunioni di settembre, che pur non essendo il momento di essere audaci (quindi fare acquisizioni) andranno rafforzati almeno gli uffici commerciali e di rappresentanza, specie nei paesi Bric e nei nuovi hub mondiali dell’economia, per sostenere le imprese italiane in trasferta e gli stranieri che vi puntano. A latere, Cucchiani intende creare una “panchina” di giovani talenti, con titoli forti, esperienze professionali di livello e vocazione internazionale, da inserire prima nel suo staff a presidio dei progetti strategici, e in futuro nella linea manageriale. La settimana scorsa è stato il turno di Ilaria Romagnoli (da Rothschild) e Silvana Chilelli (Jpm). Il blitz su Tomas Spurny è invece andato a vuoto (vedi box), ma sembra che l’incubatore dell’ad presto si amplierà. Altra figura dei nuovi assetti sarà la composizione del consiglio di gestione, che la sorveglianza nominerà in aprile, dopo l’assemblea del rinnovo. Quasi scontato che lo guidi ancora Cucchiani. Ma, d’accordo con il presidente Giovanni Bazoli (anch’egli candidato forte, al piano superiore del controllo), l’ad persegue un rinnovamento del Cdg che – passati i vagli di Bankitalia e dell’assemblea straordinaria – eliminerà le tre commissioni Impresa, Patrimonio e bilancio, Crediti e rischi. “Toppe” del primo duale, per dare una parvenza di esecutività al Cdg, ma che di fatto creavano anche una dialettica tra capoazienda e i membri delle commissioni, con il fine di semplificare e snellire la gestione. Quella dialettica, specie dentro il prossimo Cdg, sarà più difficile vederla tra Cucchiani e i suoi manager più vicini di futura nomina. Che dovrebbero essere tre, se il Cdg si attestasse a una decina di membri. La lista dei “promossi” si farà tra qualche mese, e sarà un banco di prova per il top management; per ora sembra che l’ad sia tentato di tenere le funzioni di business fuori dal Cdg, privilegiando quelle di controllo. Fosse così, potrebbero spuntarla Bruno Picca (che ha anche il vantaggio di essere l’unico manager di impronta torinese rimasto, a presidio dei rischi), Francesco Micheli, ripotenziato al livello di direttore operativo, e il dg Carlo Messina, controller finanziario. Lasciando in sala macchine i due capi delle divisioni Gaetano Miccichè (imprese e mercati) e Giuseppe Castagna (di prossima nomina alla Banca dei territori).