Adriano Bonafede
Anche Carlo Cimbri, alla fine, ha “staccato” per una settimana. L’amministratore delegato di Unipol, e in pectore anche della futura Grande Unipol derivante dall’accorpamento con Fonsai, Premafin e Milano, ha fatto a settembre l’unico, breve, periodo di ferie. Un piccolo break in vista di un impegnativo lavoro che durerà mesi e in cui si dovranno accorpare quattro imprese, tagliare le sovrapposizioni e le duplicazioni, vendere asset per 1,7 miliardi come richiesto dall’Antitrust. Tutto ciò in vista della nascita della prima impresa assicurativa del ramo danni in Italia e della quinta in Europa. Un lavoro dove verranno saggiate le reali abilità “industriali” di Cimbri. Si tratta di mettere a fattor comune due gruppi che costituivano la seconda (Fonsai) e la quarta (Unipol) compagnia assicurativa italiana. Un impegno che farebbe tremare i polsi a più di un amministratore delegato. Comporta infatti decisioni importanti sul personale, sugli immobi-li, sul sistema informatico e sulla rete agenziale. Con il rischio, ad esempio, che alcuni agenti, come pare stia già succedendo con quelli della Fonsai, fuoriesca portandosi dietro gran parte del portafoglio. Ma, probabilmente, Cimbri vede questa fase come uno scoglio minore rispetto a quello finanziario appena superato e che ha portato prima all’acquisizione di Premafin e poi alla decisione, a fine luglio, di fondere le quattro società interessate. C’è voluto poco meno di un anno per superare le innumerevoli difficoltà che si sono presentate: dall’inatteso ingresso di Sator e Palladio nel capitale di Fonsai (e poi con i loro ricorsi al Tar) alle complicazioni tecniche degli aumenti di capitale incrociati da 1,1 miliardi ciascuno, dalle autorizzazioni di Isvap, Antitrust e Banca d’Italia ai dubbi di molti analisti e osservatori sulle technicalities dell’operazione. Proprio sull’operazione in sé si sono appuntate le maggiori critiche. In sostanza, hanno osservato alcuni tecnici, l’operazione è stata una forma mascherata di salvataggio di Fonsai che sembra essere stata congegnata in modo da ridurre al minimo l’impatto sulle due banche esposte sull’ex gruppo di Ligresti (Mediobanca per 1 miliardo e Unicredit per 400 milioni). Mentre gli azionisti di minoranza sia di Unipol che di Fonsai si sono visti in questi mesi costretti a nuovi aumenti di capitale constatando al tempo stesso che il valore dell’azione scendeva costantemente. Per questo motivo gli investitori si sono tenuti ben lontani da questi titoli. Altre e diverse considerazioni sono quelle che riguardano il mantenimento dell’“italianità” del gruppo Fonsai, che taluni immaginano – senza questa operazione – potesse finire nella mani o di qualche compagnia straniera (si ricordi l’interesse di Groupama nella fase iniziale della crisi) o di qualche fondo di private equity e quindi, a cascata, di qualche entità estera. Ma tutto ciò, adesso, è alle spalle (salvo alcuni strascichi giudiziari che riguardano in particolare la famosa lettera con la “liquidazione” ai Ligresti firmata dall’ad di Mediobanca, Alberto Nagel), e gli investitori – interessati solo a vedere se possono guadagnare – cominciano a domandarsi quali siano le reali potenzialità del nuovo aggregato in via di formazione. Il dossier è però ancora troppo acerbo perché gli analisti finanziari abbiano voglia di sbilanciarsi. E infatti non lo fanno. Ancora la scorsa settimana, ad esempio, su Unipol – secondo il “consensus” di Bloomberg – la metà dei giudizi era “sell”, il 25 per cento “buy” e l’altro 25 “hold”. Ci sono ancora troppe incognite. «Qual è la forza del nuovo gruppo?”, si domanda Rafael Villareal dell’European credit research di Bnp Paribas nel report del 28 agosto che per Fonsai passa da “sell” a “hold”. Per dirlo «c’è bisogno di sapere: 1) quanto capitale ha il nuovo gruppo, 2) quanto ne avrà e 3) di quanto ne avrà bisogno ». A preoccupare gli analisti è l’entità ancora non chiara della sottoriservazione di Fonsai, le cui riserve sono state aumentate di 900 milioni nel 2011, mentre erano emerse perdite per 300 milioni sugli immobili. Non pochi temono che, con la fusione, possano emergere ulteriori voci di riserva da ridimensionare. Ma la Grande Unipol ha anche, teoricamente, molte frecce al suo arco. Il nuovo gruppo, infatti, dovrebbe avere un combined ratio (rapporto sinistri-premi) del 90-95 per cento, migliore della media del mercato e dovrebbe essere in grado di generare un cash flow significativo, di circa 1 miliardo all’anno. Gli analisti segnalano anche che il titolo beneficerà dell’effetto- indice perché sarà ricompreso nell’Ftse Mib (mentre prima c’era solo Fonsai). La vendita di asset (soprattutto della Milano, si dice, ma non solo) per 1,7 miliardi di premi dovrebbe portare nelle casse della nuova compagnia tra 500 e 800 milioni. Infine, il nuovo gruppo sarà leader nel ramo Rc auto che da qualche tempo a questa parte è tornato redditizio, anche in conseguenza del calo della sinistrosità dovuto al crollo delle immatricolazioni e delle percorrenze. Tutti motivi che potrebbero attrarre gli investitori. Ma è chiaro che la vera differenza la farà il processo di ristrutturazione. Se questo sarà condotta nel migliore dei modi si creerà valore, altrimenti i risultati potrebbero essere deludenti. Si tratta di una fusione che comporta chiaramente sinergie da costi, e non sono pochi a ritenere che in questa fase di mercato questa sia un’ottima notizia. A detta degli esperti di Equita Sim, ad esempio, gli obiettivi di sinergie (pari a 345 milioni al 2015) sembrano «ambiziosi ma non irraggiungibili » alla luce di un significativo spazio per tagliare costi e di un buon track record del management in termini di ristrutturazione e integrazione (si ricordino i casi di Winthertur e Aurora). Sulla base delle loro stime preliminari (senza plusvalenze e costi d’integrazione) gli analisti di Equita Sim credono che la Grande Unipol possa arrivare a un utile di 473 milioni nel 2013 e di 586 nel 2015 (ma Unipol stima di più, 2 miliardi nel triennio). Tuttavia va detto che, almeno il taglio del personale, pur necessario in una fusione di queste dimensioni, non sembra nelle corde del gruppo di Via Stalingrado a Bologna. Se dalla fusione verrà qualcosa di buono, investitori e analisti potrebbero scordare il “track record negativo” che aleggia su Unipol, che nel solo ultimo anno ha perso il 64 per cento del valore di Borsa e che costantemente, dalla seconda metà del 2008, ha performato peggio della media di mercato. La diffidenza degli operatori nasce da molteplici fattori. Uno di questi (ma non l’unico) è – semplicemente – la “non contendibilità” di Unipol e, domani, della Grande Unipol, che sarà controllata al 50 e passa per cento da Finsoe, la finanziaria delle cooperative. E a queste ultime, a torto o a ragione, viene attribuita l’attitudine di muoversi secondo considerazioni diverse da quelle di una pura e semplice massimizzazione dei profitti. Ma ci sono anche altri fattori, derivanti forse da una sottovalutazione del rapporto di trasparenza con il mercato. Come quando, qualche anno fa, un analista chiese quale fosse stata la fine di uno dei due miliardi di aumento di capitale fatto per l’acquisto, a cui poi si rinunciò, di Bnl e che era stato riportato fino a quel momento come excess capital. Con questa voce l’analista intendeva il quid in più rispetto ai parametri patrimoniali medi mentre invece era solo ciò che c’era in più rispetto al minimo di legge (ma tutte le compagnie hanno più del minimo).
O come quando, un anno e mezzo fa, emerse il bubbone di Banca Unipol, con svalutazioni patrimoniali inattese dagli analisti. In ogni caso, la via verso la Grande Unipol è ormai tracciata. Secondo la road map, la fusione dovrebbe avvenire entro la fine dell’anno. È però difficile che si rispetti questa data, visto che l’iter è ancora lungo e dovrebbe culminare con le assemblee delle quattro società per votare l’ok alla fusione dopo vari passaggi nei cda e, soprattutto, l’autorizzazione finale dell’Isvap. Dal primo gennaio, sicuramente, ci sarà una contabilità unica, come se la Grande Unipol esistesse già. Ma per il battesimo si dovrà aspettare probabilmente la tarda primavera. L’ultimo strascico legale, l’indagine del magistrato penale sulla firma apposta dall’ad di Mediobanca, Alberto Nagel, su un documento con la “buonuscita” per i Ligresti, non dovrebbe bloccare l’iter di fusione. A meno che il magistrato non dimostri – tra le altre cose – che questa mossa fosse stata “concertata” con Unipol, nel qual caso potrebbe scattare l’Opa. Ma Unipol ha sempre categoricamente smentito di esserne a conoscenza. Nella foto a destra, l’amministratore delegato del Gruppo Unipol, Carlo Cimbri Nei grafici, il posto occupato dalla “Grande Unipol” nelle graduatorie italiane e europee sia nel ramo danni che in tutti i rami Il nuovo aggregato sarà primo nel ramo danni in Italia e quinto in Europa