di Carlo Giuro
Uno dei temi più delicati evidenziati dal presidente della Covip Antonio Finocchiaro nel presentare l’ultima relazione annuale sul 2011 è stato quello delle omissioni contributive del datore di lavoro ai fondi pensione. È il secondo anno consecutivo che viene toccata tale criticità, fenomeno accentuato dal protrarsi della crisi economica. Le omissioni contributive penalizzano sia i lavoratori sia i fondi pensione. Con riferimento ai primi si determina una mancata crescita del proprio montante previdenziale con nocumento molto concreto nella costruzione della rendita integrativa al momento del pensionamento. Ma qual è la disciplina attuale e quali sono le possibili soluzioni che l’Authority suggerisce? La disciplina attuale non prevede il principio della automaticità delle prestazioni previsto invece per i regimi di previdenza obbligatoria. Che cosa può fare allora il lavoratore? La premessa è che va in primo luogo perfezionato l’evento tutelato, vale a dire il raggiungimento dei requisiti per ottenere la prestazione di previdenza complementare (il termine di prescrizione è decennale). Durante la vita lavorativa, accertata la omissione contributiva (attraverso gli estratti conto e le comunicazioni informative) si può però chiedere la tutela della propria aspettativa contributiva chiedendo il risarcimento del danno ripristinando la integrità della propria posizione individuale. Il lavoratore può poi agire con azione di mero accertamento nei confronti del datore di lavoro per stabilire, per esempio, l’esatto ammontare della contribuzione versata, ovvero per controllare l’esatta determinazione della base di calcolo della contribuzione medesima. Potrebbe per esempio rendersi attuale in questo modo l’interesse ad agire in giudizio per definire l’ammontare dei contributi; un caso concreto potrebbe essere rappresentato dalla necessità di calcolare l’esatto importo delle anticipazioni che possono essere richieste al fondo pensione ovvero per valutare l’opportunità di dimettersi. I fondi pensione non sono invece legittimati ad agire direttamente; possono impegnarsi per sistemare le posizioni individuali e informare l’aderente sullo stato delle sue contribuzioni, sollecitare le aziende inadempienti. In tutti i fondi pensione negoziali si prevede una specifica disposizione, contenuta nell’articolo 8 dello Statuto, in cui si regolamenta la contribuzione. In particolare si prescrive che in caso di mancato o ritardato versamento il datore di lavoro è tenuto a reintegrare la posizione individuale dell’aderente secondo modalità operative definite in genere dal consiglio di amministrazione. Il datore di lavoro è inoltre tenuto a risarcire il fondo di eventuali spese dovute al mancato adempimento contributivo. Solo in alcuni casi però la magistratura ha riconosciuto al singolo fondo la possibilità di affiancare il lavoratore nell’azione di recupero. Contro le omissioni dei versamenti integrativi la maggiore tutela viene oggi dal Fondo di garanzia presso l’Inps contro il rischio derivante dall’omesso o insufficiente versamento da parte del datore di lavoro insolvente dei contributi di previdenza complementare, previsto sin dal 1992 ma istituito solo dal 2008. Tale istituto interviene nel caso in cui le prestazioni di vecchiaia e superstiti dovute da una forma pensionistica complementare non possano essere corrisposte in tutto o in parte a causa dell’omesso o insufficiente versamento delle quote di contributi dovuti. L’Inps con la circolare 23/2008 ha dettato i criteri per garantire l’intervento del fondo costituito anche per permettere l’erogazione delle prestazioni previste in caso di insolvenza del datore di lavoro. Possono richiedere l’intervento del fondo di garanzia i lavoratori subordinati che, al momento della presentazione della domanda risultino iscritti a una delle forme pensionistiche complementari collettive e individuali iscritte nell’apposito albo tenuto dalla Covip o a una forma pensionistica individuale attuata mediante stipula di un contratto di assicurazione sulla vita con imprese di assicurazioni autorizzate dall’Isvap. In caso di decesso dell’assicurato subentrano nel relativo diritto i soggetti aventi titolo nell’Assicurazione generale obbligatoria alla pensione diretta sempre che siano stati indicati quali beneficiari nel contratto di adesione al fondo complementare. Nel caso di morte del titolare di una prestazione pensionistica la domanda potrà essere presentata esclusivamente dai soggetti aventi diritto nell’assicurazione generale obbligatoria alla pensione di reversibilità. Condizione di premessa è però che il lavoratore abbia già esperito tutte le possibili iniziative per recuperare i propri crediti di lavoro, eventualmente, in caso di dissesti finanziari e di fallimento del datore di lavoro, anche provando a insinuarsi nelle procedure concorsuali che riguardano l’azienda. Ma quali sono le prestazioni erogate dal Fondo di garanzia? L’intervento dello strumento ricostruisce la posizione individuale facendo affluire a essa le contribuzioni non versate e rivalutandole per ciascun anno in base all’indice di rendimento del tfr. La Covip evidenzia in primo luogo la non applicabilità alla previdenza complementare delle norme in tema di obbligazione contributiva dei datori di lavoro previste per la previdenza di primo pilastro. Si osserva a tale riguardo come non si ritenga condivisibile tale differenziazione in considerazione della diversa natura, obbligatoria la prima e volontaria, la seconda. L’Authority sottolinea come la stessa Corte costituzionale abbia peraltro da tempo sancito il collegamento funzionale tra i due pilastri previdenziali. Per un’effettiva possibilità di intervento dei fondi pensione in sede giudiziale manca quindi una esplicita previsione normativa in materia di contitolarità del diritto di credito contributivo. Sarebbe necessario configurare un’azione di recupero che vada al di là del semplice sollecito alle aziende inadempienti, delle segnalazioni agli interessati e alle parti istitutive. Anche l’Authority è priva di poteri finalizzati a garantire l’assolvimento, pieno e tempestivo, dell’obbligazione contributiva. In tale condizione di inadeguatezza tocca al lavoratore interessato attivarsi per la propria tutela, con procedure complesse e spesso interminabili. La Commissione ha più volte sottolineato l’urgenza di agire. Si auspica quindi l’adozione di necessari interventi normativi e strumenti che rafforzino e semplifichino le procedure di recupero. (riproduzione riservata)
Cosa accade in caso di cassa integrazione
La Cassa integrazione è uno degli attori protagonisti della crisi in atto ormai dal 2008. Ma che succede in caso di Cassa integrazione per un lavoratore aderente ad un fondo pensione? Va distinta la fase della contribuzione da quella delle prestazioni, con particolare riferimento alla possibilità di riscattare per precostituire una riserva di liquidità. L’ammissione alla Cassa integrazione ordinaria, straordinaria o alla mobilità non comporta l’uscita dal fondo pensione, l’aderente rimane iscritto. Il concetto chiave è poi che la contribuzione segue la retribuzione: se questa non è dovuta non spetta neanche la prima. Per quel che riguarda il trattamento di fine rapporto sulla base delle disposizioni di legge, in tutti i casi di Cassa Integrazione il Tfr spetta sempre in misura integrale e, pertanto, l’azienda dovrà effettuare il relativo versamento al fondo pensione secondo le diverse aliquote previste nel caso della Cassa integrazione ordinaria; in quella straordinaria il flusso viene versato comunque dal datore di lavoro che poi si rivale sull’Inps. Per quel che riguarda la contribuzione datoriale va osservato come la cassa integrazione comporta la sospensione del rapporto di lavoro e, normalmente, la sospensione della retribuzione a carico dell’impresa e, quindi, anche del versamento della contribuzione. Con riferimento alla possibilità da parte del lavoratore di attingere alla propria posizione individuale va evidenziato come la normativa preveda la possibilità del riscatto parziale, nella misura del 50 per cento della posizione individuale maturata, nei casi di «cessazione dell’attività lavorativa che comporti l’inoccupazione per un periodo di tempo non inferiore a 12 mesi e non superiore a 48 mesi, ovvero in caso di ricorso da parte del datore di lavoro a procedure di mobilità, cassa integrazione guadagni ordinaria o straordinaria» Sul tema è poi intervenuta la Covip con uno specifico orientamento interpretativo. Il riscatto è ritenuto ammissibile ogniqualvolta intervenga la cessazione del rapporto di lavoro e questa sia stata preceduta dall’assoggettamento del lavoratore interessato ad una procedura di cassa integrazione guadagni ordinaria o straordinaria, indipendentemente dalla durata della procedura medesima. L’autorità di vigilanza ritiene allora debba essere consentito il riscatto per la predetta causale anche nel caso in cui, pur non intervenendo la cessazione del rapporto di lavoro, si determini, per effetto della cassa integrazione guadagni, una perdurante situazione di sospensione totale dell’attività lavorativa. La sospensione totale dell’attività deve, comunque, perdurare per un arco di tempo che si reputa debba essere non inferiore a 12 mesi. È inoltre ammissibile che le forme pensionistiche diano corso, ad esito dell’istanza pervenuta, alla liquidazione parziale della posizione degli iscritti, anche prima dell’avvenuta maturazione del periodo di 12 mesi di cassa integrazione guadagni, ogniqualvolta risulti definito ex ante il periodo di fruizione della cassa integrazione guadagni a zero ore e questo periodo risulti fissato in almeno 12 mesi. Dal punto vista fiscale nei casi di riscatto è operata una ritenuta a titolo di imposta con l’aliquota del 15 per cento ridotta di una quota pari a 0,30 punti percentuali per ogni anno eccedente il quindicesimo anno di partecipazione a forme pensionistiche. (riproduzione riservata) Carlo Giuro