I primi sette mesi sono da brivido. Il mercato è fermo, il ramo vita arretra e il danni non riesce a compensare. Per Andrea Poggi (Accenture) le compagnie devono proporsi come sostituti dello Stato su vari fronti
Non c’era bisogno del collasso dei mercati finanziari. Quello assicurativo italiano ci aveva pensato già da solo a entrare in crisi nel 2011. Encefalogramma piatto? Quasi: il nuovo business vita a passo di gambero. Quello danni che cresce ma non è capace di trainare. Eppure, sostiene Andrea Poggi, executive partner e responsabile consulenza strategica di Accenture, proprio l’assoluta necessità in cui versano i conti pubblici può trasformarsi per le compagnie in un’occasione di discontinuità unica con il passato.
Ne parla in questa intervista con Milano Finanza ed è pronto a confrontarsi sul tema nel prossimo Insurance day organizzato da MF/Milano Finanza, il 21 settembre, con i maggiori assicuratori italiani.
Domanda. Ma che è successo al settore?
Risposta. Il mercato veniva da un biennio di sensibile crescita dei volumi intermediati, con un tasso di crescita annuo di circa il 17%, sulla scia dei rami vita (+28,5%) capaci, in quel biennio di incertezza e con il forte contributo del canale bancario, di intercettare i flussi finanziari delle famiglie. Più problematica invece era stata la redditività, negativa per ben due anni sia sotto il profilo tecnico che sotto quello della gestione finanziaria. Nel 2011, purtroppo i dati mostrano una preoccupante inversione di tendenza: il business vita si è arrestato, con un -31,1% nella nuova produzione vita nei primi sette mesi rispetto allo stesso periodo dello scorso anno; il business danni non riesce a fare da traino, seppur in moderata crescita grazie alla spinta degli adeguamenti tariffari sull’auto e con una gestione tecnica in miglioramento.
D.
Figurarsi cosa è successo da luglio in poi, tra crescita asfittica, attacchi speculativi, spread sul bund alle stelle eccetera…
R. Vero. Ma stimare gli effetti di questo contesto sul mercato assicurativo è difficile. E’ presumibile che questa ulteriore crisi potrà gravare a livello di redditività, per esempio a causa di svalutazioni sui titoli di Stato di Paesi a rischio in portafoglio e della vendita e incasso delle perdite sul debito sovrano italiano nel caso di riscatti massivi dei clienti Vita. Sono invece da capire gli sviluppi in termini di volumi intermediati. Senza dubbio la situazione è difficile. E lo sarà sempre più se nulla sarà fatto. Sono convinto che questa situazione di discontinuità e di emergenza nazionale possa rappresentare un’opportunità non solo per il sistema assicurativo italiano ma per l’intero sistema Paese.
D. L’ottimismo della volontà o della disperazione?
R. Io ci credo molto, ma il settore assicurativo deve prendere l’iniziativa e, con una generosa assunzione di responsabilità, aiutare lo Stato nella ricerca di una più efficiente gestione dei temi legati alla protezione e al welfare (pensioni, sanità, sicurezza, etc), contribuendo alla necessità di protezione delle famiglie e delle imprese, ora ancora più in balia di rischi e di incertezza crescenti. Questo duplice aiuto allo Stato, ai cittadini e alle imprese contribuirebbe anche alla crescita del settore assicurativo, con un importante potenziale di premi aggiuntivi.
D. Quali i campi in cui le compagnie possono affiancare o sostituirsi allo Stato?
R. Mi riferisco a quel bisogno di protezione e a quelle categorie di rischio e di spese già a carico di cittadini/imprese e dello Stato, diffuse nella vita di tutti giorni e non ancora opportunamente gestite e ottimizzate. Nella previdenza complementare le adesioni sono ferme al 23% dei lavoratori e ancor più basse in quelle fasce della popolazione che più ne avrebbero bisogno, come i giovani. Nella salute le spese sostenute di tasca propria dai cittadini sono pari all’83% della spesa sanitaria privata totale (pari a oltre mille euro per famiglia). C’è poi la protezione della persona nei casi di improvvisa mancanza di redditi all’interno del nucleo familiare, adottata solo dal 14% delle famiglie italiane. Nella protezione dei beni c’è in primis la casa, per il quale ancora oltre il 70% degli italiani non dispone di adeguata copertura. C’è la protezione dell’impresa di piccole dimensioni, che seppure esposta a una pluralità di rischi, secondo stime Ania si assicura mediamente un terzo di quello che dovrebbe. Continuo?
D. L’elenco è esaustivo. Ma con l’aria che tira, perché proprio ora c’è più spazio per soddisfare questo bisogno di protezione?
R. Perché le famiglie sono sempre più in difficoltà. Il reddito disponibile è in contrazione, c’è un calo del tasso di risparmio e aumento del tasso di disoccupazione, un quarto della popolazione a rischio povertà o esclusione sociale, ma si continua a sostenere elevate spese di tasca propria senza veder ridotti i rischi a carico. Perché le imprese necessitano con urgenza di un supporto per salvaguardare l’operatività aziendale e favorire l’accesso al credito divenuto critico. Perché famiglie e imprese devono ora più che mai ridurre il rischio di improvvisi esborsi che possono determinare un loro default. Perché lo Stato è ora più che mai sotto pressione per garantire la sostenibilità della finanza pubblica senza smantellare il sistema di welfare. Perché le assicurazioni devono dare una risposta strutturale al calo dei volumi e della redditività. Perché i tradizionali canali distributivi, gli agenti, sono in crescente difficoltà economica.
D. Bene, ma da dove si parte?
R. Le compagnie dovrebbero intervenire da subito, in assenza ma in attesa di riforme, su prodotti, servizi e canali per garantire la messa in sicurezza del sistema Paese, dando l’impulso iniziale al processo di ristrutturazione del welfare e di copertura del pericoloso gap di protezione. Ciò avviene già in mercati europei con impianti normativi similari a quello italiano, dove le assicurazioni sono riuscite a calibrare i propri interventi e contribuire allo sviluppo delle coperture assicurative. In Francia e Spagna lo sviluppo della bancassurance danni ha contribuito alla diffusione delle polizze per la difesa della casa e della famiglia, con una penetrazione di oltre il 70%. In Gran Bretagna le compagnie operano da risk manager a supporto del mondo delle imprese, contribuendo a incrementare la penetrazione dei prodotti assicurativi, con premi pari all’ 1,5% del Pil contro lo 0,9% in Italia.
D. Una trasformazione rispetto alle compagnie attuali.
R. Certo, partendo dall’evoluzione della distribuzione. I cittadini e le imprese, pur sostenendo già di tasca propria oltre 1.500 euro annui per famiglia per spese sanitarie e interventi domestici non preventivati, non si assicurano. D’accordo, ci sono i soliti stereotipi dei fattori culturali e storici, c’è la famiglia che poi ci pensa, c’è lo Stato che poi interverrà… Ma io sono convinto che non si assicurano perché non sono stimolati sui benefici che otterrebbero, anche a causa di una relazione fredda tra operatori assicurativi e i clienti: solo il 15% dichiara di sentire vicina la propria compagnia e il 70% di non essere mai stato contattato nell’ultimo anno per nuove soluzioni assicurative. Quindi è essenziale mettere in campo una rete distributiva formata, motivata, proattiva, capace di muoversi verso cittadini/imprese e sbloccare i bisogni inespressi, spiegare la nuova situazione macro, ridurre i rischi e gli oneri già a carico delle famiglie, delle imprese e dello Stato stesso.
D. Ma è sempre colpa degli agenti?
R. Attenzione. Il ruolo degli agenti è centrale. Ma devono essere messi in condizione di superare le croniche difficoltà operative e commerciali della distribuzione agenziale, sottoscrivendo un patto con le compagnie, una sorta di manifesto programmatico e condiviso di azioni di emergenza e di piani di sviluppo. Anche la banca e le Poste possono giocare un ruolo da co-protagonista, valorizzando la frequenza di contatto e il rapporto di fiducia, instaurerebbero un circolo virtuoso di avvicinamento della domanda al mondo assicurativo anche nella protezione danni, auto e non auto. E poi basta con questa contrapposizione agenti-bancassurance: una comunione di intenti fra i canali distributivi deve essere rafforzata anche da sinergie distributive e di collaborazione reciproca tra loro.
D. L’espansione del business assicurativo ha bisogno di un paio di cosiddette riforme strutturali, e subito. Un auspicio o un’utopia?
R. Penso che riforme orientate verso la flessibilità della previdenza integrativa, un modello sanitario multi-pilastro, meccanismi di incentivazione per favorire coperture dirette su imprese e sul patrimonio, il reddito e i beni dei cittadini consentirebbero, con le azioni industriali promosse dagli operatori, di cogliere il bersaglio. (riproduzione riservata)