Al ministero del lavoro il dossier delle casse di previdenza dei liberi professionisti sta diventando sempre più scottante. Perché i conti di alcuni enti di previdenza scivolano pericolosamente verso il baratro. E la congiuntura finanziaria internazionale rende sempre più arduo qualsiasi percorso di risalita verso la piena sostenibilità dei bilanci. Così in Via Veneto hanno deciso di marcare stretto le casse a più alto rischio default. E di scrivere formalmente a quelle con forti criticità per non lasciare dubbi a fraintendimenti. Scrive infatti all’Ente dei medici il direttore generale della divisione previdenziale del ministero del lavoro, Edoardo Gambacciani, «si ritiene necessario e improrogabile che si predispongano urgenti e significativi interventi correttivi_ per la salvaguardia della stabilità gestionale nel triennio previsto dall’articolo 1, comma 763 della Finanziaria 2007». Come? Aumentando i contributi e riducendo le prestazioni. Ricetta semplice ed efficace, ma politicamente molto difficile da far digerire agli iscritti. Infatti il sollecito è partito prima dell’estate, ma è stato classificato finora come top secret dagli enti riceventi ed è conosciuto solo dai vertici degli enti. La ragione è che un po’ tutte le casse soffrono di un latente conflitto intergenerazionale, a causa del trattamento molto diverso previsto per i professionisti che sono già andati in pensione o si apprestano a farlo, rispetto agli attuali giovani contribuenti, che da anni assistono a un continuo allungamento del periodo di contribuzione necessario a maturare il diritto alla pensione a fronte di una riduzione delle prestazioni previdenziali previste. C’è solo un modo per disinnescare questa bomba ad orologeria: ridurre i trattamenti privilegiati degli attuali pensionati. Ma toccare i diritti acquisiti è quasi impossibile. Chi ci ha provato, come la Cassa di previdenza dei dottori commercialisti con il contributo di solidarietà sulle pensioni più ricche, si è scontrato con la giurisprudenza della Cassazione e della Consulta che, sulla possibilità di ridurre le prestazioni previdenziali a chi è già andato in pensione, hanno costruito un muro (finora) invalicabile. Ma non ci sono alternative, se non si vuole rischiare la rivolta di chi dovrebbe garantire le attuali pensioni d’oro, con la prospettiva di ricevere a sua volta, se tutto va bene, pensioni da fame. © Riproduzione riservata