Ai timori Fed sulla ripresa si aggiungono quelli sulla produzione industriale e sul mercato real estate in Cina. Ue in pressing su 16 banche a rischio aumento. Tra queste c’è il Banco Popolare
Ieri i mercati finanziari di tutto il mondo, e di tutti gli asset, hanno registrato una sfilza di brutte notizie. La tempesta perfetta era già cominciata nella serata di mercoledì, con l’avvertimento della Fed, lanciato al termine della riunione del Fomc, sui «significativi rischi» a cui è soggetta la ripresa dell’economia americana.
Poi, nella mattinata di ieri, la notizia di previsioni negative sulla produzione industriale in Cina, a causa del desiderio delle autorità di mettere sotto controllo la dinamica dei prezzi, accompagnata dai timori di Credit Suisse sulla solidità finanziaria dei maggiori operatori immobiliari del Paese, hanno aumentato i timori circa uno scoppio della bolla immobiliare nel gigante asiatico. Tanto che l’indice borsistico di Hong Kong ha chiuso in negativo del 4,9%. La carrellata di brutte notizie è poi proseguita con l’annuncio che nell’Eurozona le aspettative delle imprese manifatturiere e dei servizi sono scese al livello più basso dal luglio 2009, anno di pesante recessione.
Il cocktail micidiale è stato somministrato a piazze finanziarie già molto provate dall’incertezza sulle prospettive del debito della Grecia e dal downgrade di Standard & Poor’s nei confronti delle banche italiane e dal taglio di Moody’s al rating dei tre dei maggiori istituti di credito americani.
Risultato: borse mondiali in perdita di molti punti percentuali. Che stavolta non si sia trattato del solito effetto-Grecia, che tende a penalizzare soprattutto le banche, è dimostrato dal fatto che ieri alcuni mercati dove è forte l’incidenza dei titoli finanziari, come Milano e Madrid, hanno ceduto rispettivamente il 4,5 e il 4,6% e hanno sofferto meno di Francoforte (-4,7)% e Londra (-5%), la cui capitalizzazione è più uniformemente distribuita tra i vari settori.
Quello che si è prodotto sui mercati è un repentino e forte aumento dell’avversione al rischio, evidenziato dal fatto che i tassi di rendimento sui Treasury americani a dieci anni sono calati all’1,77%, il livello più basso dal 1953, a causa della forte richiesta da parte di investitori desiderosi di disfarsi «praticamente di tutto», come ha riferito un operatore al Wall Street Journal. Tanto che persino il prezzo di un’oncia d’oro è arrivato a perdere 62 dollari (il 3,2%), toccando quota 1.745. E contemporaneamente si sono prodotte massicce uscite anche dall’euro, che ieri ha ceduto l’1% a 1,345 contro il dollaro. Non poteva non risentirne lo spread del Btp sul Bund, che in giornata ha toccato i 416 punti base per poi tornare sotto i 400 punti, chiudendo a 399.
A provocare quello che è molto simile a un panic selling è stata l’incertezza causata dalla dichiarazione di mercoledì della Fed. «In America i repubblicani stanno mettendo sempre più in discussione l’indipendenza della banca centrale americana. Di conseguenza gli uomini di Bernanke, propensi a una politica monetaria accomodante, sentono di dover giustificare d’ora innanzi qualsiasi mossa volta a stimolare l’economia. E per fare questo hanno bisogno di sottolineare la gravità del momento», spiega Luca Mezzomo, capo economista di Intesa Sanpaolo. In altri termini, i mercati, già delusi dalla notizia che per il momento non ci sarà un’altra vera campagna di acquisti di titoli di Stato Usa, cosa data largamente per scontata nei giorni precedenti, adesso si chiedono quanti annunci del medesimo tenore verranno dall’autorità monetaria statunitense.
Era quindi un mercato già in ansia quello che ha accolto ieri mattina la pessima notizia proveniente dall’Europa, secondo cui l’indice delle aspettative dei direttori degli acquisti delle imprese manifatturiere e dei servizi nell’Eurozona per la prima volta dal luglio del 2009 era sceso sotto il livello di 50, cioè la soglia critica che separa un’economia in crescita dalla recessione. Un risultato che ha finito per dare ancora più peso all’allarme della Fed. «Per venir fuori dalla crisi del debito sovrano nell’Eurozona occorre una forte crescita. Qualsiasi segnale in senso contrario non fa che complicare ulteriormente il problema», ha riferito all’agenzia Bloomberg un gestore di fondi svizzero.
In tale scenario le dichiarazioni rilasciate ieri del direttore generale del Fmi, Christine Lagarde, secondo la quale «il rallentamento dell’economia occidentale non è di natura ciclica» e «ci aspettano diversi anni di crescita deludente» (si veda anche articolo in pagina), non potevano certo essere di conforto alle piazze finanziarie. E, per finire in bellezza, è giunta in serata la notizia che le autorità di Bruxelles vorrebbero accelerare la ricapitalizzazione delle16 banche europee che hanno superato per il rotto della cuffia l’esame degli stress test; tra queste il Banco Popolare. (riproduzione riservata)