Nel 2015 ben 2,8 milioni di cittadini asiatici avranno un patrimonio superiore al miliardo di dollari per un totale di 15 mila mld. Lo dice il wealth report di Julius Baer che per la prima volta ha mappato i paperoni dell’area
I super ricchi asiatici passeranno da 1,1 a 2,8 milioni triplicando il loro patrimonio che arriverà a 15 mila miliardi di dollari entro il 2015. Solo in Cina, motore della crescita, la borsa dovrebbe rendere l’11,2% l’anno ma il 40% della ricchezza andrà in case di lusso
Chi non ha ancora fatto il calcolo di quanto vale un dollaro in yuan è meglio che compri una buona calcolatrice.
Perché l’Asia, trainata da Pechino ma non solo, sta diventando l’ombelico del mondo economico a una velocità incredibile. Lo sostiene uno studio sulla ricchezza asiatica realizzato da Julius Baer. «Siamo convinti», dicono gli analisti di Julius Baer, «che il mondo sia testimone di un cambiamento epocale». Partiamo dagli Hnwi, gli high net worth individual, i super paperoni con un patrimonio superiore al milione di dollari in grado di competere con tycoon del calibro di Ratan Tata e Lakshmi Mittal. Finora sono pochi ma si moltiplicheranno nei prossimi cinque anni al ritmo del 19% l’anno, passando dagli attuali 1,1 milioni a 2,8 milioni, triplicando un patrimonio che passerà da 5,6 mila miliardi di dollari a 15 mila miliardi e moltiplicando la ricchezza del 23% l’anno.
La borsa sarà una delle mete più appetite dai miliardari. Soltanto in Cina, sostengono gli analisti di Julius Baer, «il mercato azionario dovrebbe produrre ritorni medi dell’11,2%» ma un po’ in tutto il continente le performance saranno ottime: in India la borsa renderà il 13,6% a pompare un’economia attesa in crescita del 16% l’anno.
Come identikit, l’investitore asiatico tipo ha una percentuale più alta di azioni rispetto agli altri sparsi per il mondo. Cash (mercato monetario o equivalente) e reddito fisso sono relativamente bassi. Solo il 50% del portafoglio dei ricconi d’Oriente è destinato a titoli asiatici, mentre un europeo investe il 70% del proprio patrimonio in asset del Vecchio continente. Tutto questo, dice il report di Julius Baer, «implica una maggiore propensione al rischio ma anche aspettative di rendimento più alte». Insomma, l’asset allocation tipica dei paperoni d’Asia, extra immobili, prevede un 7% in investimenti alternativi, un 14% in bond, la stessa percentuale in valute, il grosso, il 62%, in azioni e la quota restante in asset diversi. L’Asia, dicono gli analisti, «diventerà una delle regioni più influenti del globo: il pil della regione aumenta in media del 10% in un range dal 5% al 16%, variando da zona a zona, l’inflazione media è al 5,1%». La creazione di ricchezza ha tre driver principali: l’aumento del risparmio, l’incremento dei capitali e l’aumento dei tassi di cambio che impattano sulle ricchezze.
Il motore di questa crescita, come detto, sarà la Cina. A partire dal pil, destinato a crescere del 14,5% ogni anno con la ricchezza media che aumenterà al ritmo medio del 19%. Entro il 2015 i super ricchi cinesi passeranno dagli attuali 500 mila a circa 1,4 milioni al ritmo di un +22% annuo; costoro avranno in mano il 55% del totale della ricchezza prodotta nella regione.
Gli asset investibili lieviteranno dagli attuali 2.600 miliardi agli 8.800 mila miliardi del 2015, in un rialzo costante del 27% annuo. Con maggiore focus sull’immobiliare: il mattone, insieme alle auto, assorbirà una valanga di denaro. In India i prezzi delle case sono triplicati mentre in Cina sono due volte e mezzo quelli che erano dieci anni fa. D’ora in poi il 40% della ricchezza asiatica verrà investito in real estate, con i prezzi destinati a salire in media del 6% annuo. Soltanto a Singapore il mercato delle case sarà flat, anzi in calo dello 0,2%: ha corso troppo e il governo ha lanciato una serie di misure per frenare la speculazione. A Taiwan, in Corea e a Hong Kong i prezzi delle abitazioni cresceranno del 3%, a Mumbai dell’11%, a Shanghai dell’8%, a Hong Kong del 6%. Investire in case sarà proficuo: in dieci anni un’abitazione di lusso a Hong Kong o a Singapore può rendere l’81%, una a Mumbai il 184%.
Per capire meglio il percorso del denaro soldi, Julius Baer ha inventato il Lifestyle Index, l’indice progettato per «catturare gli elementi tipici che costituiscono parte fondamentale nella spesa degli Hnwi in Asia». Il basket che determina l’indice comprende venti beni di lusso di cui vengono calcolati i costi: case di lusso e auto pesano per il 40%, il resto è diviso tra vino (Lafite Rothschild, per intenderci), borse firmate, gioielleria ma anche sigari, iscrizioni a golf club esclusivi, spese per avvocati di grido, orologi. In un anno, fino ad aprile 2011, questo indice è salito in media dell’11,7% per città con Singapore record con il 14,7%; Shanghai è la città dove è cresciuto più rapidamente attestandosi in dodici mesi al 13,1%, seguita da Hong Kong, dove è quasi al 12% mentre Mumbai è la città con l’indice più basso, al 7%. Com’è immaginabile, l’indice riflette in pieno l’andamento dei prezzi dei beni di lusso nelle varie città. E allora va ricordato che a Hong Kong un appartamento di lusso da 4 mila mq costa 36 milioni di dollari, più del triplo che nelle altre città, e che iscriversi a un golf club costa 360 mila dollari, più che altrove. E poi lavatevi i denti: a Hong Kong andare da un dentista per farsi togliere una radice costa 3 mila dollari, il 70% in più che a Singapore dove una Mercedes ti può costare 400 mila dollari, il 70% in più che a Hong Kong. Shanghai e Mumbai sono le città più economiche, per usare un eufemismo. Con le debite eccezioni: un pianoforte Steinway costa 240 mila dollari a Shanghai molto più che a Hong Kong o a Singapore, mentre un Rolex costa 33 mila dollari, il 15% in meno che dalle altre parti. A Shanghai sono più cari gli avvocati che si fanno pagare 800 dollari l’ora. (riproduzione riservata)