Nell’ambito delle misure da adottare per contrastare la crisi sul fronte delle banche, sta prendendo piede la tesi di separare nettamente l’attività di credito commerciale da quella di investimento. L’argomento torna periodicamente di attualità e si invoca la separatezza. La ragione più ravvicinata è data dalla circostanza che vede l’Inghilterra, sulla base delle tesi che ora vanno per la maggiore dovute ad Adam Posen (membro del comitato monetario della Bank of England), accingersi a emanare una disciplina analoga in materia. Prim’ancora una siffatta regolamentazione era auspicata dall’ex capo della Federal Reserve Paul Volcker nell’ambito della riforma finanziaria negli Stati Uniti voluta dal presidente Barack Obama; ma la cosiddetta «Volcker rule» è passata solo in parte nella voluminosa nuova disciplina, la cui attuazione è peraltro legata a una serie di provvedimenti attuativi di non immediata adozione.
Ora è bene essere prudenti. Molti ricorderanno lo stimolo di comportamenti imitativi della decisione inglese di trasferire la vigilanza sulle aziende di credito dalla Banca centrale a un soggetto autonomo, la Fsa. In quell’occasione si sprecarono gli elogi anche da parte di teste d’uovo italiane e si stigmatizzò come retrograda la resistenza, innanzitutto della Banca d’Italia, a fare la stessa cosa nel nostro Paese. I commenti entusiastici si sprecarono e fiumi d’inchiostro fluirono sul presunto conflitto di interesse tra politica monetaria e vigilanza bancaria. Poi accadde che la prova data dalla Fsa prima e durante la crisi fu pessima, tanto da indurre il governo inglese a tornare sui suoi passi riconducendo la vigilanza nell’ambito delle attività della Banca centrale. Si era comunque dimostrato che le sorti meravigliose e progressive del nuovo assetto dei controlli erano una bufala. (Vale sottolineare che in Italia le teste d’uovo a suo tempo tifose dello scorporo non hanno fatto una piega: non c’è da stupirsi, a questo e ad altro siamo ormai abituati).
Ora siamo ai prodromi del bis in idem. La separazione, almeno in Italia, è un falso problema, considerati i poteri delle autorità monetarie, in base ai quali si potranno regolare capillarmente, ancor più di quanto sia stato finora fatto, i rapporti tra le due forme di attività bancaria, se ve ne sarà bisogno. Si è invece tuttora in attesa di quelle discipline a livello europeo che tardano ancora, come una normativa seria ed efficace dei derivati o degli hedge fund, che pure influirebbe pure sul problema. A novembre si conosceranno le proposte del board della Stabilità finanziaria sulle Sifi, le banche con rilevanza sistemica, e sull’attività bancaria «ombra»; poi entrerà in vigore Basilea 3. In ogni caso, la tesi della separatezza va valutata in relazione alle specifiche condizioni dei sistemi bancari, dei mercati, dei poteri di regolazione e controllo, delle prospettive, ma anche dei possibili arbitraggi normativi. Un’automatica trasposizione di normative del genere da un ordinamento all’altro è il peggio che si potrebbe sostenere, magari per un’anglofilia degna di miglior causa. Anzi, proprio perché il sostegno all’imitazione pedissequa finora non ha mai portato bene, vista anche la vicenda dell’Fsa, sarebbe prudente astenersi dal sostenere, commentandoli favorevolmente, questi percorsi avventurosi. (riproduzione riservata)