I soci di Unicredit sono pronti a sostenere l’aumento di capitale. A rompere gli indugi è lo stesso ad Federico Ghizzoni che, in un’intervista al Ft (anticipata ieri sera sul sito online), aggiunge che aspetterà un paio di mesi, poi annuncerà il suo piano di rafforzamento del capitale. L’obiettivo è quello di accrescere la patrimonializzazione della banca, che a fine giugno aveva un core tier one capital ratio del 9,1%, ma che ad avviso di Ghizzoni deve ora salire sopra al 10%. Una decisione probabilmente dettata anche dal forte pressing di Bankitalia, già scesa in campo nella vicenda Bpm (servizio a fianco). Fatto sta che, dopo tante smentite, Unicredit è pronta al grande passo. Il patrimonio può essere aumentato attraverso «un aumento di capitale, una riduzione del rischi e la vendita di attivi. Credo – ha commentato l’ad – che il mercato sia pronto a sostenerlo se si propone un piano credibile». Ma serve «un minimo di stabilità per presentare un business plan», ha aggiunto il numero uno di Unicredit, che interpellato sulla quota del 7% in mani libiche ha affermato che se fosse messa in vendita «sono certo che altri azionisti rileverebbero quelle azioni. Non è un problema». Intanto ieri è stata un’altra giornata nera per le banche. Unicredit ha perso il 10,91%, scivolando a 68 centesimi e posizionandosi in fondo al Ftse/Mib (-3.89%) e scendendo i livelli del primo trimestre di due anni fa, molto vicino agli 0,58 euro toccati nella chiusura del 9 marzo 2009. Ad affossare i bancari sono stati i timori di un possibile downgrade da parte di Moody’s nei confronti dei colossi francesi Credit Agricole, Societè Generale e Bnp (che ieri sono sprofondati alla Borsa di Parigi). Così, nel giorno dell’incontro tra il ministro delle Finanze Giulio Tremonti e i principali banchieri italiani, Unicredit, Intesa Sanpaolo e Mps sono state congelate per eccesso di ribasso. L’istituto guidato da Corrado Passera ha chiuso la seduta in calo del 9,54%, scivolando a 0,868 euro e ritornando sui valori di aprile 1997. Se la sono cavate un po’ meglio Ubi (-4,18%), Mediobanca (-3,72%), il Banco Popolare (-3,05%) e Mps (-1,63%). Con il crollo di ieri, che ha visto andare in fumo altri 2,3 miliardi, basterebbero ora solo 41,5 miliardi per aggiudicarsi i primi sei istituti di credito italiani, contro i 43,8 miliardi dello scorso venerdì, gli 80 miliardi di fine marzo e i 218 miliardi di dicembre 2006. Il che significa, in altre parole, che dalla fine del 2006 a oggi, le banche hanno bruciato più di 175 miliardi di capitalizzazione. Un gap in merito al quale, tuttavia, non va dimenticato lo sforzo già sostenuto dal mercato che, da inizio anno, ha immesso complessivamente oltre 10 miliardi di nuovi mezzi freschi per rafforzare il patrimonio degli istituti di credito italiani. Miliardi che si sono volatilizzati nel giro di poche sedute. Ad aprire le danze era stato, infatti, a gennaio il Banco Popolare, con un aumento da 2 miliardi, seguito poi da Intesa Sanpaolo (5 miliardi), Mps ( 2,1) e Ubi (1). A giorni toccherà a Bpm (vedere articolo a fianco), mentre crescono le aspettative per una nuova ricapitalizzazione di Unicredit. Sarebbe la terza volta in pochi anni, visto che Piazza Cordusio ha già chiesto ai soci e al mercato circa 7 miliardi, tra l’operazione cashes del 2009 e l’aumento di capitale del 2010. In ogni caso, la situazione fortemente critica dei mercati sarà verosimilmente uno degli argomenti sul tavolo dei comitati consigliari della banca (il comitato governance e quello permanente strategico) che si riuniranno oggi pomeriggio per preparare il cda del 20 settembre, il primo dopo la pausa estiva che cadrà proprio a un anno dall’addio di Alessandro Profumo. Dopo l’incontro tra manager e fondazioni azioniste dello scorso venerdì anche i comitati, che in Unicredit hanno ruolo consultivo, dovrebbero fare il punto sui lavori in vista del piano industriale che dovrebbe essere approvato a novembre. Intanto, sul tavolo del comitato nomine potrebbe arrivare anche il dossier Mediobanca, di cui Unicredit, con una quota dell’8,66% del capitale, è il primo azionista.
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