L’inflazione all’8% spinge molte famiglie a tagliare le spese per i beni di tutti i giorni, poi con l’arrivo dell’inverno bisognerà risparmiare anche sui consumi del gas, il cui prezzo continua ad aggiornare il record. Per ora un comparto che è rimasto fuori dai radar è quello finanziario, forse perché le commissioni degli strumenti di investimento non sono esposte su un cartellino e quindi non sono immediatamente percepibili. Non a caso questa scarsa attenzione accomuna un po’ tutti i Paesi, compresi quelli del Nord Europa, dove il focus sui costi dovrebbe essere maggiore per via della pervasiva presenza di investitori istituzionali. Invece anche lì il tema delle spese è trascurato dai risparmiatori.

Secondo un sondaggio di Alecta, società di gestione di fondi pensione, l’82% degli svedesi non sa quanto paga sui risparmi pensionistici. «Penso che una spiegazione sia che la spesa non è addebitata tramite fattura ma è prelevata silenziosamente», dice Staffan Ström, economista di Alecta. «Non c’è da stupirsi che le banche, i fondi e le società di previdenza abbiano dei costi per investire denaro. Abbiamo bisogno di personale, locali, strutture di information technology e tutto ciò che hanno anche altre aziende. Il problema è che molti gestori addebitano una commissione molto più alta di quella di cui hanno realmente bisogno», sottolinea Ström. La consapevolezza sui costi è bassa «anche se le commissioni possono influire molto». Ad esempio, un 25 enne che versa al fondo pensione 5 mila corone al mese e che abbassa la spesa di mezzo punto percentuale può trovarsi in tasca milione di corone in più dopo 40 anni.

In Italia la Covip ha fatto una elaborazione simile. Secondo la stima sviluppata dalla commissione di vigilanza sulla previdenza complementare presieduta da Mario Padula, un capitale di 100 mila euro accumulato dopo 35 anni su un fondo pensione con un Indicatore Sintetico di Costi (Isc, si veda box in pagina accanto) dell’1% si ridurrebbe di circa il 18% (scendendo a 82 mila euro) nel caso questo fosse del 2%. «Il costo è l’unico elemento certo che gli investitori possono controllare, tenendo presente che ogni euro che si paga in più per i costi è un euro tolto ai potenziali rendimenti futuri», afferma Simore Rosti, responsabile Italia e Sud Europa di Vanguard. Alla fine dello scorso anno la liquidità degli italiani parcheggiata tra conti correnti, depositi di vario tipo e contanti superava i 1.600 miliardi di euro, secondo la fotografia della Banca d’Italia (si veda tabella in pagina) sulla ricchezza finanziaria delle famiglie. «Per favorire la canalizzazione di questo eccesso di liquidità è necessario che l’industria del risparmio gestito e quella della distribuzione finanziaria abbandonino l’attuale architettura del sistema distributivo virando verso un modello poggiato su tre pilastri: il superamento del collocamento tradizionale basato sulle commissioni, la diffusione della consulenza a parcella e la riduzione dei costi», aggiunge Rosti. In attesa di questi miglioramenti nell’offerta ecco come i risparmiatori possono trovare offerte low cost nell’attuale panorama di mercato.

Fondi comuni ed Etf. L’ultimo studio globale di Morningstar sui costi dei fondi ha dato una buona notizia agli investitori. «In molti mercati le commissioni stanno diminuendo, grazie alla combinazione di flussi verso fondi più economici e e la revisione delle spese degli investimenti esistenti», spiega Grant Kennaway, responsabile della manager selection di Morningstar e co-autore dello studio. La società di analisi ricorda che secondo alcuni report i comparti meno costosi hanno più probabilità di ottenere rendimenti migliori e di sopravvivere rispetto agli altri. Ma dentro i valori medi ci sono differenze tra prodotti e tra Paesi. Morningstar rileva che dove la distribuzione dei fondi è dominata dalle banche non c’è alcuna indicazione che le forze di mercato da sole riescano a diminuire le spese medie per gli investitori retail e questo aspetto è ben evidente in Paesi come Italia, Taiwan, Hong Kong e Singapore. L’Osservatorio sui sottoscrittori divulgato da Assogestioni conferma che in Italia l’84% dei risparmiatori si rivolge a uno sportello bancario per investire in fondi. Per avere un’idea precisa dei livelli di commissione di ciascuna classe di un fondo comune è sempre importante riferirsi all’ultima edizione del Kid, il documento sintetico che dà all’investitore le informazioni-chiave prima di sottoscrivere. Morningstar calcola che i costi medi ponderati per i fondi azionari domiciliati in Italia sono del 2,13%, il livello più alto tra tutti e 26 i mercati analizzati, rispetto allo 0,55% dell’Olanda, il meno caro (si veda il grafico pubblicato in pagina). Oltre al fatto che i fondi domiciliati in Italia hanno tra i più alti costi ponderati per il patrimonio, Morningstar spiega che «l’Italia si trova nelle ultime posizioni perché gli investitori sono gravati generalmente da commissioni di retrocessione (la quota parte delle commissioni che viene girata al distributore, ndr) e spesso da costi iniziali di sottoscrizione». Inoltre «le classi di azioni senza commissioni di retrocessione sono registrate nel Paese ma non facilmente accessibili ai clienti finali perché il sistema di distribuzione è dominato dalle banche».

Ma un modo per risparmiare sulle commissioni c’è ed è quello di comprare i fondi in borsa, proprio come si fa con le azioni. A Piazza Affari esiste da qualche anno il segmento ATFund: qui i fondi quotati non prevedono costi di sottoscrizione o di rimborso, non hanno costi di distribuzione e sono negoziati e liquidabili al nav (net asset value, valore netto) come per tutti i fondi. Insomma, costano meno perché non hanno alle spalle una rete distributiva da remunerare e quindi si prestano all’investitore fai-da-te oppure a quello che si avvale dei consulenti indipendenti pagati a parcella. La prima società di gestione a debuttare su questo segmento (nato nel 2014) è stata AcomeA a inizio 2015. Da allora si sono aggiunti altri asset manager anche se questo mercato non è mai decollato veramente, tanto che attualmente si contano soltanto 82 fondi quotati (tra cui quelli di Pharus sicav, New Millennium, Atomo, Compam e Alessia sicav). Ovviamente gli stessi fondi si possono comprare tramite i canali tradizionali, come banche o reti, ma a costi più alti. Passando dalle gestioni attive alle passive, gli Etf sono da sempre strumenti low cost perché non prevedono l’intervento del gestore. Ma anche in questo caso bisogna fare attenzione, in particolare per quanto riguarda gli Etf di tipo Esg, ovvero che investono in indici composti da azioni di società rispettose di criteri ambientali, sociali e di governance. Questi prodotti hanno registrato un boom sull’onda della crescente attenzione mercato ai profili di sostenibilità: nel 2020 e nel 2021 gli Etf Esg rappresentavano la metà dei nuovi Etf lanciati sul mercato europeo dal 2% del 2015. Ma il punto è capire se le commissioni più elevate di alcuni Etf Esg rispetto ai loro omologhi non Esg siano giustificate da una lista di azioni in portafoglio davvero green.

Fondi pensione. Gli strumenti previdenziali con Isc più bassi sono i fondi negoziali, comparti dedicati alle varie categorie di professioni: su un periodo di partecipazione di dieci anni il loro Isc medio 2021, calcola Covip, è pari allo 0,45%. Per fondi aperti e piani individuali pensionistici (pip) l’Isc calcolato sullo stesso orizzonte è rispettivamente 1,36% e 2,18%. Se confrontati con il 2020, i negoziali registrano in media un incremento dello 0,02% ma restano i più economici perché sono organizzazioni no-profit. Viceversa per i fondi pensione aperti e i pip, strumenti di mercato che non sono espressione di una categoria di lavoratori, si riscontrano costi più elevati e una dispersione molto più ampia. Ogni lavoratore può scegliere se aderire a un negoziale (se la sua professione lo prevede), a un fondo aperto o a un pip. Ma gli iscritti ai negoziali godono del contributo aggiuntivo del datore di lavoro, non previsto invece nel caso di pip e fondi aperti (a meno che questi non abbiamo siglato un accordo collettivo). Quindi se il lavoratore che dispone di un fondo negoziale si iscrive individualmente a un aperto o a un pip perde tale contributo. Dalla loro i fondi aperti e i pip presentano una maggiore articolazione e in particolare i secondi, essendo prodotti assicurativi, hanno le coperture proprie delle polizze.

Polizze. Anche sul fronte assicurativo è necessario fare attenzione perché i caricamenti possono incidere molto sul capitale. I canali online possono aiutare a trovare soluzioni più economiche. Lo hanno capito anche i big assicurativi che stanno investendo molto nell’insurtech. A partire da Generali, che controlla Genertel e Genertel Life, compagnie (Danni e Vita) digitali con una operatività sulle polizze tutta online. Ad esempio, Genertel Life ha al momento in collocamento una polizza Vita (Valory) senza costi di emissione e intermediazione con la possibilità di avere il supporto di un consulente online. Allianz dispone invece di Allianz Direct, attiva nel ramo Danni, che attualmente propone sconti sulle coperture per furto casa e assistenza stradale. Mentre Intesa Sanpaolo e Generali hanno una partecipazione di Yolo, piattaforma di distribuzione di polizze on demand. Ad esempio, Yolo Dentista, spiega la società «permette un risparmio fino al 70% rispetto al mercato grazie a tariffe fisse e preconcordate per ogni singola prestazione». Il risparmio per le Rc Auto sottoscritte online, osserva Metlife, si aggira in media intorno al 30-35%.

In Posta. Nel risparmio low cost il gruppo si mette in evidenza con i classici buoni fruttiferi perché non hanno costi oltre ad avere una tassazione agevolata (ritenuta del 12,5% anziché il 26% ordinario, esenzione dell’imposta di successione e di bollo fino a 5 mila euro). Inoltre con l’aumento dei rendimenti sul mercato Poste Italiane prima dell’estate ha aumentato i tassi: ad esempio, il buono 4×4 offre il 3% lordo annuo a scadenza (16 anni). Una simulazione del gruppo mostra che investendo 5 mila euro sul buono 4×4 a scadenza il sottoscrittore otterrà 7.645 euro netti. (riproduzione riservata)
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