È possibile negare la rifusione delle spese di resistenza all’assicurato che non si è avvalso di avvocati designati dall’assicuratore? Sul tema è recentemente pronunciata la Corte di Cassazione, con sentenza n. 21220 del 05.07.2022.
di Laura Opilio e di Luca Odorizzi (Studio CMS)
La Corte, con una decisione che è destinata a creare incertezza tra gli operatori del mercato assicurativo, ha statuito la nullità della clausola contrattuale secondo cui “la società [assicuratrice] non riconosce spese sostenute dall’assicurato per legali o tecnici che non siano da essa designati”.
LA PRONUNCIA DELLA CORTE
La vicenda contenziosa riguardava l’esecuzione di un contratto di appalto per la redazione di un progetto esecutivo. Il progettista aveva agito in via monitoria nei confronti del committente, ottenendo un decreto ingiuntivo per il saldo corrispettivo per l’opera professionale. Il committente aveva proposto opposizione al decreto ingiuntivo, lamentando numerosi vizi progettuali e chiedendo in via riconvenzionale la riduzione del corrispettivo e il risarcimento dei danni. A fronte della domanda riconvenzionale, il progettista aveva chiamato in causa la propria assicurazione, chiedendo di essere tenuto indenne.
Il Tribunale, per quanto di interesse, aveva condannato il progettista al risarcimento dei danni e la relativa assicurazione a tenerlo indenne, compensando però le spese tra tutte le parti. La sentenza era stata confermata dalla Corte d’Appello, che in punto spese aveva ritenuto che l’assicurato non potesse pretendere dall’assicuratore il rimborso delle spese di resistenza, in virtù della clausola contrattuale che escludeva la rifusione di tali spese se l’assicurato si fosse avvalso di avvocati o periti non designati dall’assicuratore.
L’assicurato ha proposto ricorso in Cassazione, sostenendo che siffatta clausola doveva ritenersi nulla per contrarietà all’art. 1917, terzo comma, c.c. La Cassazione, con iter argomentativo chiaro e lineare, ha accolto il ricorso. La Corte ha infatti evidenziato che:
(i) l’art. 1917, terzo comma, c.c., stabilisce che “le spese sostenute per resistere all’azione del danneggiato contro l’assicurato sono a carico dell’assicuratore nei limiti del quarto della somma assicurata”;
(ii) il successivo art. 1932, primo comma, c.c., stabilisce che “le disposizioni degli artt. (…) 1917 terzo e quarto comma (…) non possono essere derogate se non in senso più favorevole all’assicurato”.
Ebbene, ad avviso della Corte, una clausola contrattuale che subordini la refusione delle spese di resistenza al placet dell’assicuratore costituisce una deroga in pejus all’art, 1917, terzo comma, c.c. (la legge infatti non pone condizioni al diritto dell’assicurato di ottenere il rimborso delle suddette spese) ed è pertanto affetta da nullità[1]. Nello specifico, il principio di diritto enunciato è il seguente: “la clausola inserita in un contratto di assicurazione della responsabilità civile, la quale stabilisca che l’assicurato, se convenuto dal terzo danneggiato, non ha diritto alla rifusione delle spese sostenute per legali o tecnici non designati dall’assicuratore, è una clausola che deroga in pejus all’articolo 1917, terzo comma, c.c., e di conseguenza è nulla ai sensi dell’art. 1932 c.c.”.
LA CLAUSOLA È DAVVERO SEMPRE NULLA?
La clausola che la Corte ha sanzionato con la nullità costituisce una previsione tipica nella assicurazione per la responsabilità civile ed è presente – più o meno con la medesima formulazione – in quasi tutte le condizioni generali. Sottesa a tale clausola vi è l’esigenza dell’assicuratore di affidare il contenzioso agli avvocati del proprio panel, di modo da conseguire un risparmio di costi (le convenzioni tariffarie sono generalmente più basse a fronte di un flusso di contenzioso stabile e spesso significativo) e rendere più agevole e immediata la gestione del sinistro in fase giudiziale (l’avvocato riporterà sviluppi e strategie direttamente all’assicurazione, oltre che all’assicurato). La pronuncia della Corte potrebbe dunque avere un effetto dirompente su questa prassi.
Eppure, ad avviso di chi scrive, la sentenza in commento va posta in prospettiva e contestualizzata rispetto all’insieme delle previsioni di polizza; così facendo, il suo effetto ne risulta circoscritto. Certamente una clausola che, avulsa da ogni contesto, si limiti semplicemente a subordinare il rimborso delle spese di resistenza all’approvazione da parte dell’assicuratore dell’avvocato scelto dall’assicurato risulta nulla per le ragioni evidenziate, in maniera ineccepibile, dalla Corte.
Tuttavia, tale clausola generalmente non è prevista come a se stante, ma è parte integrante del c.d. patto di gestione della lite, attraverso il quale l’assicurato affida all’assicuratore, che se ne assume gli oneri, la gestione del contenzioso derivante da sinistri coperti ai sensi di polizza. Tale patto è pacificamente ritenuto ammissibile, in quanto “costituisce una lecita modalità di adempimento sostitutiva dell’obbligo di rimborso delle spese di resistenza posto dall’art. 1917 c.c., comma 3” (Cass. n. 14107/2019).
Tipicamente la formulazione patto di gestione della lite si apre prevedendo che “La società assume, fino a quando ne ha interesse, la gestione delle vertenze tanto in sede stragiudiziale che giudiziale a nome dell’assicurato, designando, ove occorra, legali o tecnici ed avvalendosi di tutti i diritti ed azioni spettanti all’assicurato stesso. Sono a carico della società le spese sostenute per resistere all’azione promossa contro l’assicurato, entro il limite di un importo pari al quarto del massimale stabilito in polizza” e si chiude proprio con la previsione oggetto della pronuncia in commento: “la società non riconosce spese sostenute dall’assicurato per legali o tecnici che non siano da essa designati”.
In questo contesto, l’esclusione di copertura per legali o tecnici non designati dalla compagnia costituisce un ragionevole contraltare del patto di gestione della lite: in forza del patto, l’assicuratore si obbliga a gestire la lite salvaguardando gli interessi dell’assicurato e sopportandone direttamente le spese; l’assicurato, dal canto suo, si obbliga a porre in essere gli atti necessari affinché l’assicuratore possa assumere la gestione diretta e, in primis, a nominare l’avvocato indicato dalla compagnia; l’inadempimento dell’assicurato a questo obbligo determina l’esonero dell’assicuratore dall’obbligo di coprire le spese.
In questo senso si è orientata, non molto tempo fa, la stessa Corte di Cassazione. Chiamata a pronunciarsi su una clausola di esclusione del rimborso delle spese legali identica a quella in questione, la Corte, con ordinanza n. 4202 del 19.02.2020 ne ha affermato la validità, se e in quanto letta nel contesto di un patto di gestione della lite[2]. In presenza di detto patto, infatti, “il diniego di rimborso da parte dell’assicuratore diviene giustificato ove l’assicurato decida di non avvalersi della difesa offerta direttamente dalla compagnia, trattandosi di ragionevole corollario di quel patto volto a tutelare il sinallagma contrattuale”.
La Corte ha inoltre aggiunto che per giustificare l’esclusione del rimborso delle spese legali non basta l’astratta previsione della clausola, ma occorre che le parti abbiano manifestato la volontà di avvalersi del patto di gestione della lite e di renderlo concretamente operante. Tale osservazione appare condivisibile: la compagnia che non si sia tempestivamente adoperata per assumere la gestione della lite, costringendo l’assicurato a nominare autonomamente un avvocato per non veder pregiudicati propri interessi, difficilmente potrà sottrarsi all’obbligo di sopportare le spese di resistenza ai sensi dell’art. 1917, co. 3, c.c. (e più in generale dell’art, 1914 co. 2 c.c.).
Le due pronunce della Cassazione – quella del 2022 e quella del 2020 – non sembrano necessariamente in antitesi e anzi possono essere viste come complementari.
La portata della nullità stabilita da Cass n. 21220/2022 pare potersi circoscrivere a quelle ipotesi in cui l’esclusione della copertura per legali non designati è invocata dall’assicuratore tout court, al di fuori dell’assunzione della gestione diretta della lite. Era verosimilmente questo il caso concreto: il contenzioso, come si è visto, nasceva da un ricorso per decreto ingiuntivo promosso dallo stesso assicurato, ipotesi strutturalmente estranea alla copertura di polizza e dunque all’attivazione della gestione diretta.
Per contro, tutte quelle volte in cui l’assicurato, senza giustificato motivo, non adempia all’obbligo di conferire mandato all’avvocato prescelto dall’assicuratore, violando il patto di gestione della lite, riteniamo ragionevole che – conformemente all’insegnamento di Cass. n. 4202/2020 – l’assicuratore possa ritenersi esentato dall’obbligo di rimborsare le spese di resistenza.
_________
[1] La Corte ha poi aggiunto che” le spese di resistenza sostenute dall’assicurato sono affrontate nell’interesse comune di questi e dell’assicuratore. Esse costituiscono perciò spese di salvataggio ai sensi dell’art. 1914 c.c., e sono soggette alla regola che ne subordina la rimborsabilità al fatto che non siano state sostenute avventatamente”.
[2] Sul punto ci si permette di rinviare ad un nostro precedente contributo per questa rivista: “la compagnia non è tenuta a pagare le spese di difesa dell’assicurato se intende avvalersi del diritto di gestione della lite”, su Assinews 319 – maggio 2020.
© Riproduzione riservata