I cambiamenti climatici mettono a rischio il made in Italy. Anche se non nel breve periodo. Attualmente a soffrire di più sono il mais e la filiera ad esso collegata: zootecnia e lattiero-caseario. Ma anche la frutta soffre. È quanto spiega a ItaliaOggi, Mauro Bruni, presidente di Areté la società bolognese di analisi del mondo agri-food. «I cambiamenti climatici sono un dato di fatto. Dobbiamo imparare a gestirli. Dobbiamo gestire la siccità con impianti fissi di irrigazione intelligente, gestire la brina con impianti anti brina, fare scelte colturali con varietà in grado di reggere i mutamenti». Per Bruni, «non è la prima volta che ci troviamo di fronte a cambiamenti. Un tempo Sicilia e Nord Africa erano il granaio d’Europa, oggi il grano si fa in Francia e Ucraina. La vite era nel bacino mediterraneo, poi si è spostata fino in Germania. E anche in Inghilterra si produrrà vino. Dobbiamo adattarci, modificare tecniche e specie coltivate». Poi Bruni sottolinea: «Oggi soffrono le colture che hanno il ciclo colturale in estate, con la siccità producono meno e male. Come il mais e se ho meno mais soffrono le filiere collegate come quella dell’allevamento dei bovini e del latte». Ma, «se non ho un impianto di irrigamento soffre anche il settore frutta». I cambiamenti climatici potrebbero avere ripercussioni sulle produzioni tipiche del Made in Italy. «Nel medio periodo non si vedranno scomparire le nostre produzioni, ma la sofferenza per mancanza di mais e erba medica porterà ad un aumento dei costi. Inoltre, con temperature salite di più due gradi, i bovini producono meno latte e questo porterà a danni economici e tecnici per le rese». Insomma, i cambiamenti ci sono e «si può intervenire per le sole cause antropiche. Quelle naturali le devi subire, l’agricoltura deve imparare a conviverci e ad adattarsi».
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