PREVISTI PALETTI PER RENDERE PIÙ TRASPARENTI GLI ACQUISTI DI PARTECIPAZIONI QUALIFICATE
di Andrea Pira
Su impulso dell’Unione europea il governo mette una serie di paletti per rendere più trasparenti gli acquisti di partecipazioni bancarie, imprese di investimento e gestori del risparmio. Il decreto di recepimento della direttiva europea con le nuove regole sui requisiti di capitale è servito anche a puntellare la disciplina sugli assetti proprietari degli istituti. Tema centrale in Italia, nel mezzo della silenziosa ascesa di Leonardo Del Vecchio e Francesco Gaetano Caltagirone dentro Mediobanca con sullo sfondo le manovra attorno a Generali e alla governance del Leone. Il primo è arrivato al 19% di Piazzetta Cuccia, a un soffio dal 20%, la quota che lo scorso anno si era prefisso di raggiungere chiedendo l’autorizzazione alla Banca centrale europea. Il secondo è proiettato verso il 5%. Numeri che in un’alleanza tra i due porterebbero la quota detenuta a ridosso della soglia d’Opa al 25%. Da un lato infatti l’obbligo di autorizzazione varrà non più soltanto per chi controlla di diritto la società compratrice, ma anche per chi ne ha il controllo di fatto. In secondo luogo, guardando a possibili azioni di concerto con altri azionisti, l’obbligo di autorizzazione scatterà sia per gli acquisti diretti di azioni sia per tutte quelle operazioni che aumentano il peso specifico del compratore: quindi creazioni di patti, introduzione di voto maggiorato, acquisti di azioni proprie o comunque interventi che permettano di «esercitare controllo o un’influenza notevole».
Nel complesso è un modo per fare chiarezza sugli assetti di controllo che l’Eurotower guarda sempre con attenzione, anche perché negli anni ha dimostrato di non prediligere la presenza di singoli azionisti privati nel capitale delle banche. L’intervento si pone quindi in linea non soltanto con la Bce, ma anche con specifici orientamenti congiunti dell’Eba, dell’Esma e dell’Eiopa.
Tra le pieghe del testo varato dal Consiglio dei ministri lo scorso 29 luglio e ora in Parlamento per un parere prima di tornare in cdm per l’ok definitivo, il ministero dell’Economia ha voluto perciò introdurre il cosiddetto «criterio del moltiplicatore» da utilizzare assieme al «criterio di controllo». Nella pratica l’autorizzazione preventiva della Bce servirà anche a chi intende acquisire o arrivare a detenere indirettamente una partecipazione qualificata in un istituto attraverso una società della quale non ha però il controllo.
Per fare un esempio concreto: se un soggetto A detiene il 30% di una società che a sua volta ha il 40% di un intermediario, ci sarà bisogno del via libera di Francoforte, perché attraverso la catena partecipativa deterrebbe il 12% dell’istituto, quindi una soglia rilevante.
Di contro l’autorizzazione non sarà necessaria nel caso lo stesso soggetto detenga il 30% di una società ma quest’ultima si fermi al 30% di un istituto, in quanto a conti fatti, la quota detenuta alla fine della catena sarebbe soltanto del 9% quindi sotto i limiti sugli assetti proprietari, fissati al 10%, al 20, al 30% e a 50% del capitale. Sempre in questa cornice il decreto interviene anche sui determinati criteri che l’acquirente deve rispettare. Lima ad esempio la verifica della reputazione dei manager che vorrà nominare, circoscrivendola ai soli componenti del consiglio d’amministrazione e ai direttori generali, in quanto dirigeranno il business, e lasciando fuori il collegio sindacale. Né riguarderà i criteri di indipendenza o i limiti al cumulo di incarichi, limitandosi ai requisiti di onorabilità, alla correttezza, professionalità e alla competenza.Tra le novità il provvedimento regola inoltre il rafforzamento degli obblighi di collaborazione tra autorità prudenziali, antiriciclaggio e unità nazionali di informazione finanziaria e introduce il potere per la vigilanza di rimuovere i revisori contabili che abbiano violato l’obbligo di segnalazione atti e comportamento in violazione delle norme bancarie o che posso pregiudicare la continuità aziendale nonché portare alla mancata certificazione dei bilanci. (riproduzione riservata)
A Del Vecchio rimborsati 110 milioni dalla sua Delfin
di Andrea Giacobino
Rimasto a secco di dividendi, Leonardo Del Vecchio si è visto almeno rimborsare oltre 117 milioni di euro che aveva imprestato alla propria holding, Delfin. Lo evidenzia il bilancio ordinario 2020 della cassaforte lussemburghese con cui l’imprenditore è fra l’altro azionista al 32% di EssilorLuxottica e che custodisce quasi il 20% di Mediobanca e il 4,82% delle Assicurazioni Generali. Durante lo scorso anno, infatti, Delfin ha parzialmente restituito il finanziamento soci, in scadenza a fine 2022, che è difatti diminuito da 329,6 a 212 milioni. Il bilancio specifica anche che a fine 2020 l’assemblea dei soci ha deciso di accantonare l’intero utile 2019 di 300,1 milioni mentre quello dello scorso esercizio è stato di 208 milioni perché i dividendi da partecipazioni sono diminuiti anno su anno da 293,1 a 195,2 milioni e gli incassi dagli altri investimenti sono passati da 150,9 a 60,3 milioni. L’attivo totale di Delfin è rimasto stabile a 10,8 miliardi di euro e per 10,2 miliardi consiste di asset finanziari, mentre la liquidità è scesa anno su anno da 327 a 32,3 milioni. (riproduzione riservata)
Il (poco) senso della Vigilanza Bce per i dossier italiani
di Angelo De Mattia
Tre facce delle istituzioni europee. In primis, la Vigilanza unica della Bce si precipita a sollecitare la trasformazione della Popolare di Sondrio in spa dopo la sentenza del Consiglio di Stato che, per di più, viene malamente commentata nelle cronache sostenendo che il consiglio avrebbe confermato la legittimità della legge di riforma, quando non era questo essenzialmente il petitum e non si trattava della sede idonea a pronunciarsi sulla legittimità, materia che è rimessa alla Corte Costituzionale, ma riguardando l’ammissibilità o no di una modalità di una trasformazione che arrivasse alla previsione di una scissione tra la cooperativa, qual è appunto una banca popolare, e la spa bancaria. La Sondrio ha comunque tempo entro l’anno per attuare la trasformazione. La «variante» che emerge dalla pronuncia del massimo organo della giustizia amministrativa, nelle scorse settimane messa in luce con rigore e molto efficacemente da Corrado Sforza Fogliani, presidente dell’Assopopolari, riguarda la possibilità di una trasformazione, in ipotesi anche con il concorso di più di una cooperativa, che abbia una holding intermedia a capo della spa. Su questo punto il Consiglio di Stato ha sottolineato che le disposizioni della Vigilanza italiana non vietano tale possibilità e non la possono vietare. Naturalmente, aggiungiamo qui, questa ipotesi sarà comunque soggetta alla valutazione, nei singoli casi, della Banca d’Italia, che potrebbe accoglierla oppure rigettarla in relazione ai criteri fondamentali della propria azione, a partire dalla tutela della stabilità aziendale e della sana e prudente gestione nonché dalla coerenza dell’architettura istituzionale e della governante. Ma le motivazioni dovrebbero essere stringenti e convincenti. Non esisterebbe alcun automatismo né una discrezionalità così lata che sfiori l’arbitrio. Insomma, si dovrebbe poter arrivare a questa magra soddisfazione: non si può vietare in via generale l’assetto indicato, ma poi lo si può fare con specifiche motivazioni caso per caso.
Vediamo un’altra faccia: il caso Mediobanca-Generali. Roberto Sommella ieri si è chiesto se non debba essere oggetto di riflessione la condizione di semplice investitore finanziario alla quale è stata subordinata l’autorizzazione della Vigilanza unica a Leonardo Del Vecchio con la sua Delfin per salire fino al 19,9% di Mediobanca. E ciò anche alla luce del 25% complessivo che raggiungono, pur non esistendo concerti o specifici coordinamenti secondo quanto emergerebbe, le partecipazioni del patron di EssilorLuxottica e di Francesco Gaetano Caltagirone. E’ immaginabile che possa resistere a lungo la limitazione finanziaria, che poi si traduce nell’imporre una drastica riduzione dei diritti di un azionista, di un «comproprietario», con lesione delle prerogative costituzionalmente protette? Siamo alle solite: la Costituzione viene ben dopo le istruzioni di Vigilanza? Se una buona volta non si affronta questo punto cruciale, che torna frequentemente soprattutto nell’applicazione di leggi di importazione comunitaria, si continuerà a fare i conti con questo capovolgimento della gerarchia delle fonti.
Altro caso di comportamento da parte di autorità europee: dopo tanto discutere, come è stato riferito ieri su queste colonne, la nomina del presidente dell’Esma è stata rinviata a settembre. Il candidato che ha il più netto sostegno è l’italiano Carmine di Noia, commissario della Consob, il quale è stato proposto dall’interno dell’authority europea come il più meritevole della nomina. Ma si continua a traccheggiare perché i tedeschi avrebbero voluto quale presidente Verena Ross, direttrice uscente dell’Esma. In Germania sono prossime le elezioni politiche e nessuno dei competitori vuole apparire nella veste del mediatore. Si starebbe comunque operando per trovare una diversa collocazione per Ross. A questo punto, dopo che è già intervenuto il ministro dell’Economia Daniele Franco, sarebbe molto opportuno, anzi doveroso, che lo facesse in prima persona anche il presidente del Consiglio Mario Draghi. Le condizioni di competenza, esperienza, rigore e di diffuso sostegno all’interno dell’istituzione interessata, come si è visto, ci sono tutte. Lo stesso esame delle numero di cariche ricoperte da italiani nell’Unione Europea, se pure venisse accolto come criterio che però non dovrebbe certo essere determinante, darebbe un responso nettamente favorevole alle candidature italiane. Quousque tandem? Può continuare questo lungo e poco dignitoso temporeggiamento che va ben oltre la prorogatio italiana? In questo modo si pensa dall’Unione di dettare prescrizioni sull’efficienza, sulla tempestività e sulla correttezza delle decisioni di governo e di amministrazione nei singoli Paesi, quando in casa propria offre questo spettacolo? Anche in casi-simbolo come questo si può dare prova e far valere la credibilità e il prestigio di cui si beneficia. Del resto non è questo il governo dei migliori rapporti con l’Europa? O non è più così? (riproduzione riservata)
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