Si susseguono le pronunce per il danno da morte parentale quando l’evento coinvolge legami tra parenti collaterali i cui rapporti, come spesso accade, non sono caratterizzati da quel vincolo affettivo la cui rescissione provoca un danno risarcibile.
di Bianca Pascotto
La prova del vincolo affettivo è l’elemento indefettibile che legittima il danno per la perdita del congiunto e la presenza di un testamento con designazione di erede, costituisce una valida presunzione per ritenere sussistente il legame affettivo con il de cuius.
IL CASO
A seguito del decesso della zia per un incidente stradale, i fratelli Rossi chiedono al Tribunale di Roma il risarcimento (i) dei danni subiti iure proprio per la perdita della zia, (ii) dei danni jure hereditatis quali eredi legittimi del fratello Caio deceduto e convivente per 63 anni con la zia, nominato da quest’ultima quale suo erede universale, ed (iii) dei danni jure hereditatis per il danno catastrofale trasmesso al fratello Caio quale erede universale da quest’ultimo.
Il Tribunale accoglie la domanda, riconoscendo un importo differenziato tra gli stessi in ragione del rapporto di convivenza e non convivenza, pronuncia che viene impugnata avanti la Corte d’Appello.
La Corte, diversamente, nega il risarcimento iure proprio ai nipoti mentre riconosce le domande svolte jure hereditatis con modifica in aumento del danno parentale subito da Caio in ragione del rapporto di convivenza con la zia.
La vicenda approda alla Suprema Corte.
LA SOLUZIONE
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