UNIONCAMERE: NEL PRIMO SEMESTRE -13% RISPETTO ALLO STESSO PERIODO PRE-PANDEMIA (2019)
di Luisa Leone
Il tessuto produttivo italiano per ora tiene, grazie anche all’imponente mole di aiuti e misure speciali messi a disposizione dal governo a partire dalla primavera 2020. Secondo i dati Unioncamere, nel primo semestre di quest’anno il numero dei fallimenti aziendali è stato infatti del 13,3% inferiore a quello del corrispondente periodo del 2019, preso a termine di paragone perché antecedente lo scoppio della pandemia. I dati Unioncamere-Infocamere, tratti dal Registro delle Imprese delle Camere di Commercio, indicano a quota 4.667 le aziende che hanno avviato una procedura fallimentare nei primi sei mesi del 2021 contro le 5.380 del corrispondente periodo del 2019, prima dell’irrompere dell’emergenza Covid.
Nel mezzo si collocano le 2.924 dichiarazioni di fallimento presentate invece nei primi sei mesi del 2020, «segnati tuttavia dall’imposizione del lockdown e dal prolungato stop alle attività dei tribunali», si legge nel comunicato Unioncamere. Complessivamente il tasso di fallimento delle imprese italiane, considerando il numero di procedure fallimentari aperte ogni mille imprese registrate, si attesta quindi nel periodo allo 0,76.
La diminuzione dei fallimenti nel pieno dell’emergenza pandemica sembrerebbe un controsenso se non si tenesse conto delle misure governative, dallo stop alle tasse agli aiuti alle attività fermate dai lockdown fino alla cassa integrazione emergenziale «che ha reso meno costoso tenere ferme le aziende», sottolinea Fedele De Novellis, partner di Ref Ricerche. La contrazione registrata nei primi mesi del 2021 è quindi, come anche l’andamento del risparmio delle famiglie, «una dimostrazione degli effetti di trasmissione della finanza pubblica al settore privato». Il vero banco di prova è dunque rimandato a quando cesseranno gli effetti dello sforzo pubblico a favore dell’economia, costato nei mesi passati oltre 100 miliardi di deficit aggiuntivo. «Quando verrà meno l’effetto dell’espansione fiscale, se la ripresa sarà stata abbastanza robusta l’economia si normalizzerà. Altrimenti gli effetti della crisi sulle aziende, che oggi non registriamo, li vedremo nel 2022», aggiunge De Novellis. Insomma, dopo la crescita robusta dei primi mesi del 2021, sarebbe importante che anche nella seconda metà dell’anno l’Italia riuscisse a a correre nonostante i primi segnali di rallentamento che arrivano dalle economie internazionali. «I risultati si confermeranno solo se la crescita si manterrà su buoni livelli, altrimenti si avrà l’effetto paradossale che i contraccolpi sui bilanci delle aziende si vedranno solo dopo la fase più acuta della crisi», conclude l’economista.
Tornando ai dati Unioncamere, il calo dei fallimenti appare piuttosto omogeneo a livello nazionale (sempre a confronto con il primo semestre del 2019) con quasi tutte le regioni che evidenziano valori in diminuzione, a eccezione di alcune tra le più piccole come Basilicata (+53,6%) e Molise (+41,7%), «dove però bastano pochi casi in più per determinare forti variazioni relative», sottolinea il comunicato. Tra le regioni più grandi a far segnare un incremento rispetto a due anni fa è la sola Sicilia (+1,4%), mentre l’unica che, pur in forte riduzione rispetto ai primi sei mesi del 2019 (-16,1%), si colloca sopra la soglia dell’1 per mille nel tasso di fallimento è la Lombardia. Quanto ai settori di attività (si veda tabella in pagina), anche in questo caso si evidenziano dinamiche in calo diffuse a quasi tutti i comparti, con l’eccezione di alcuni in cui però il tasso è invece in fortissima crescita, come la fornitura di energia (+60%) ma anche la sanità e l’assistenza (+21,6%), il trasporto e magazzinaggio (+19%), l’istruzione (+13.3%) e in misura minore le attività assicurative e finanziarie (+3,2%). (riproduzione riservata)
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