PER L’AMMINISTRATORE LA TASSAZIONE È SEPARATA QUANDO RICORRONO DETERMINATE CONDIZIONI

Per l’amministratore (non professionista), la norma di riferimento per la tassazione dell’indennità di fine mandato è l’articolo 17 comma 1 lett. c) del Tuir, disposizione che prevede il meccanismo di tassazione separata a condizione che il diritto all’indennità risulti da atto avente data certa anteriore all’inizio del rapporto. In mancanza di data certa, invece, la tassazione sarà ordinaria con evidente progressività dell’imposta. Tuttavia, l’articolo 24, co. 31 del dl 201/2011 ha previsto alcune eccezioni all’applicazione della tassazione separata; si tratta delle indennità di importo eccedente il milione di euro, che scontano sempre la tassazione ordinaria. Ne consegue che, per l’indennità di fine mandato degli amministratori è possibile operare la seguente «stratificazione»: a) fino all’importo di un milione di euro, è applicabile la tassazione separata a condizione che il diritto risulti da atto di data certa anteriore all’inizio del rapporto; b) per l’importo eccedente un milione di euro si applica la tassazione ordinaria. Una ulteriore disposizione proveniente dal citato comma 31 concerne il fatto che, a decorrere dal 2011, la tassazione ordinaria è da applicare in ogni caso a tutti i compensi e indennità erogati agli amministratori di società di capitali. Quest’ultima previsione ha dato luogo a non pochi dubbi interpretativi. Sul punto, la circolare 3/E/2012 ha precisato che detta disposizione intende confermare la ratio della norma, senza al contempo differenziarne l’applicazione con esclusivo riferimento agli amministratori di società di capitali. Anche nei confronti di questi ultimi, quindi, la disposizione in esame si applica ai compensi e alle indennità in denaro e in natura, comprese eventuali stock options, che eccedono l’importo di un milione di euro. Nell’ambito dello stesso documento di prassi, l’Agenzia ha precisato, con riferimento alla verifica del superamento del limite previsto, che: a) detta verifica va effettuata considerando le indennità erogate «al lordo» delle riduzioni e deduzioni previste dalle disposizioni in tema di tassazione separata; b) la disposizione in esame è applicabile anche qualora il superamento del predetto importo si verifichi per effetto di erogazioni non contestuali nel corso del medesimo periodo d’imposta o di erogazioni effettuate in diversi periodi d’imposta. Resta fuori, invece, dal campo di applicazione della deroga in esame l’ipotesi in cui le indennità siano erogati agli eredi dell’amministratore; sull’intero importo delle indennità percepite si continua ad applicare la tassazione separata, a nulla rilevando il superamento del limite di un milione di euro. Trattamento fiscale incerto anche nel caso di sottoscrizione (da parte della società) di una polizza assicurativa che, oltre a garantire i mezzi finanziari alla corresponsione dell’indennità di fine mandato agli amministratori, permette di ottenere una somma a titolo di rendimento finanziario (somma che, in capo alla società, è da qualificare come reddito d’impresa). In particolare, pur mancando un chiarimento ufficiale sulla questione è possibile sostenere che l’accantonamento al fondo Tfm sia deducibile per competenza. Tuttavia, occorre fare delle distinzioni. Nel caso in cui beneficiario della polizza è la società, i premi corrisposti alla compagnia di assicurazione non rappresentano un costo ma un credito vantato dalla società nei confronti di quest’ultima e, quindi, sono indeducibili. Se, invece, beneficiario delle somme è l’amministratore (o i suoi eredi), l’indennità avrà un trattamento fiscale più articolato. In particolare: a) se la compagnia di assicurazione liquida il capitale direttamente all’amministratore (o ai suoi eredi) la stessa opera, per conto della società, una ritenuta del 20% a titolo d’acconto; b) se l’assicurazione versa le somme necessarie al pagamento della ritenuta alla società ed il «netto» all’amministratore, sarà la società a dover versare la ritenuta sul totale del Tfm corrisposto. Inoltre, ove si rilevi una “differenza” positiva tra il capitale liquidato dall’assicurazione ed i premi versati dalla società, questa verrà assoggettata dall’assicurazione ad imposta sostitutiva. Poiché tale differenza costituisce la base imponibile della ritenuta suddetta e rappresenta reddito per il soggetto percettore (beneficiario della polizza), ne deriva che tale reddito, essendo soggetto a tassazione alla fonte a titolo definitivo, non concorre alla formazione del reddito imponibile del percettore (Cm 14/1987).

È possibile rinunciare alle spettanze, ma conta la qualifica di socio
Possibile per l’amministratore rinunciare al Tfm. In presenza di particolari situazioni aziendali, infatti, l’amministratore può decidere di rinunciare alle proprie spettanze, azzerando il relativo debito della società. Le conseguenze di tale rinuncia si differenziano in relazione alla qualifica o meno di socio. Sul punto, la risoluzione 124/E/2017 ha precisato che: a) nel caso in cui la rinuncia al Tfm sia operata da un amministratore socio, trova applicazione l’articolo 88 comma 4-bis del Tuir e, pertanto, la rinuncia dà luogo a una sopravvenienza attiva per la parte che eccede il relativo valore fiscale. Dal momento che si è in presenza di crediti per il Tfm dovuto a persone fisiche non esercenti un’attività di impresa e che non è, pertanto, ravvisabile alcuna differenza tra il valore fiscale dei crediti rinunciati e il loro valore nominale, la società partecipata non dovrà tassare alcuna sopravvenienza attiva; b) nel caso in cui la rinuncia al Tfm è operata da un amministratore non socio, non trova applicazione il comma 4-bis dell’articolo 88 del Tuir. Pertanto, se la società ha dedotto le quote di Tfm accantonate dovrà assoggettare a tassazione la sopravvenienza attiva. In caso contrario, la rinuncia non avrà effetto fiscale. Per i soci-amministratori, poi, la Cassazione (ord. 1335/2016) ha stabilito che l’importo del credito deve essere tassato in base al principio dell’incasso giuridico. Nel caso in cui gli amministratori soci abbiano rinunciato alle quote di Tfm accantonate dalla società patrimonializzando la stessa, i crediti rinunciati, che si intendono giuridicamente incassati, dovranno essere assoggettati a tassazione in capo ai soci persone fisiche non imprenditori, con conseguente obbligo di effettuazione della ritenuta alla fonte da parte della società. Per gli amministratori non soci, invece, sarà la società ad assoggettare a tassazione la sopravvenienza attiva derivante dalla rinuncia al Tfm nei limiti in cui abbia dedotto gli accantonamenti effettuati in passato, mentre, gli stessi amministratori, non sono assoggettati ad alcuna imposizione. Tuttavia, nell’ambito della norma di comportamento Aidc 201/2018 è possibile rilevare una tesi diversa. Per l’associazione, infatti, nel caso dell’amministratore socio, la mera remissione del debito non comporta alcun beneficio e non può essere assunta quale forma di utilizzo o godimento del diritto di credito. La mancata percezione, quindi, rende l’operazione fiscalmente ininfluente, in quanto non attribuisce alcun vantaggio economico. Il credito rinunciato ha un valore fiscale nullo, in quanto la fattispecie reddituale sottostante non ha mai concorso a formare la base imponibile del reddito dell’amministratore. Ne consegue che, per l’amministratore, la rinuncia del credito non comporta un incremento del costo fiscalmente riconosciuto della partecipazione. Per quanto riguarda la società, che imputa a una posta di patrimonio netto l’ammontare del credito rinunciato dall’amministratore socio, secondo l’Aidc, trova applicazione l’articolo 88, comma 4-bis del Tuir, con la determinazione di una «sopravvenienza attiva» imponibile da assoggettare a imposizione mediante una corrispondente variazione in aumento in sede di dichiarazione dei redditi.

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