Siamo alla vigilia del venticinquesimo anniversario della fondazione delle Casse di previdenza cosiddette del 103, dal decreto legislativo che le istituì a favore di quelle professioni che nel 1996 erano prive di un proprio ed autonomo sistema di previdenza: gli agronomi, i forestali, gli attuari, i biologi, i chimici, i fisici, i geologi, gli infermieri, i periti agrari, i periti industriali e gli psicologi. I principi che ne ispirarono la costituzione sono sintetizzabili in alcuni articoli del dlgs 509/1994 a cui lo stesso dlgs 103/1996 fa riferimento. Tra i più significativi: all’art. 1 si legge che «Gli enti trasformati continuano a sussistere come enti senza scopo di lucro e assumono la personalità giuridica di diritto privato, ai sensi degli articoli 12 e seguenti del Codice civile»; inoltre «Agli enti stessi non sono consentiti finanziamenti pubblici diretti o indiretti»; e all’art. 2 si specifica che «Le associazioni o le fondazioni hanno autonomia gestionale, organizzativa e contabile». Appare chiaro come la volontà del legislatore fosse quella di creare organismi privati autonomi, che provvedessero alla gestione della previdenza dei propri iscritti. Una gestione a valenza pubblica, da condurre nel rispetto dei principi della trasparenza e delle regole di vigilanza e controllo in capo allo Stato, ma senza alcun aiuto pubblico. A questi enti è stata dunque attribuita una delega totale alla gestione della previdenza dei liberi professionisti. A tirare le prime somme di questo sistema previdenziale è il presidente dell’Eppi – l’Ente dei periti industriali – Valerio Bignami: «Dopo 25 anni, non si può non constatare che i principi alla base del sistema di metodo contributivo e l’autonomia gestionale degli enti del 103 siano stati sovvertiti. Di fatto, la privatizzazione consiste solo nel continuare a non usufruire di finanziamenti diretti ed indiretti da parte dello stato, e, al contempo, a dover rispondere dei risultati di gestione e organizzazione contabile. Di fatto, tutta l’attività delle nostre casse è stata ricondotta alle regole, alle norme, e alle procedure tipiche degli enti pubblici».
Domanda. Presidente Bignami, in che termini la delega totale alla gestione previdenziale nei fatti non è compiuta?
Risposta. Il ruolo di vigilanza delegato ai ministeri di riferimento si è trasformato in una azione di puro e capillare controllo, attraverso il quale si incide anche sulle scelte decisionali e gestionali, mantenendo in capo agli organi amministrativi la sola ed esclusiva responsabilità della gestione. Dal 1996 ad oggi sono inoltre state introdotte diverse modifiche normative che hanno però sempre riguardato aspetti puntuali, e ci sono state sentenze di vari organi della magistratura che hanno modificato prassi e comportamenti adottati dai vari ministeri. Ora appare evidente la necessità di una rivisitazione organica dell’intero corpo regolamentare, anche e soprattutto in funzione di un ampliamento delle funzioni. È noto infatti come le casse non si occupino del solo futuro in quiescenza degli iscritti, ma abbiano dovuto incrementare gli interventi in ambito assistenziale; altrettanto noto è che ciò accade anche per supportare in maniera integrativa il sempre più ridotto intervento pubblico.
D. Restando sui rapporti con la politica, ci sono segnali di riconoscimento dall’attuale governo?
R. I rapporti con le parti politiche sono tenuti con grande professionalità dall’Adepp, l’Associazione che riunisce tutte le casse del 509 e del 103. Ed è proprio nell’incontro del luglio scorso in sede Adepp che il senatore Sergio Puglia, presidente della commissione bicamerale di controllo degli Enti previdenziali, ha annunciato la volontà di aprire un tavolo di confronto con tutte le casse professionali per una revisione complessiva dei decreti in essere.
D. Quali sono dunque secondo lei i principali ambiti normativi di intervento?
R. Innanzitutto, una definizione chiara e ben circostanziata dell’autonomia delle casse di previdenza. Un’autonomia vera, rispettosa dei ruoli e funzionale ad una gestione trasparente, efficiente ed efficace. Un esempio per tutti: l’esclusione dalla logica del codice degli appalti nell’individuazione degli advisor, dei consulenti finanziari ed in generale di tutta l’attività riguardante gli investimenti. L’altro ambito è quello della sburocratizzazione nei rapporti con i ministeri e i vari organi dello stato, insieme all’eliminazione di inutili sovrapposizioni. Tutto ciò permetterà di comprimere temporalmente i processi decisionali, risparmiando risorse umane ed economiche da destinare alle funzioni primarie. Sia ben chiaro: ciò non significa eliminare la vigilanza, ma bensì ricondurla agli ambiti essenziali e incidenti.
D. Il tema degli investimenti è molto delicato e va a braccetto con quello fiscale. Cosa auspica?
R. La creazione di un sistema incentivante dal punto di vista fiscale per tutti quegli investimenti a sostegno della cosiddetta economia reale delle infrastrutture fisiche e non, dell’edilizia sanitaria e scolastica, dell’housing sociale e della valorizzazione del patrimonio storico-culturale ed artistico. C’è poi l’eliminazione della doppia tassazione, sistema riconosciuto da tutti iniquo e da superare, ma mai seriamente affrontato da nessuna forza politica.
D. Cosa auspica invece sulle funzioni assistenziali già attivate?
R. Occorre innanzitutto partire dal riconoscimento anche culturale della funzione primaria dell’assistenza tradizionale, e soprattutto di quel cosiddetto welfare attivo che sostiene l’attività professionale, suggellando così una visione circolare della previdenza. Non più una direzionalità lineare tra lavoro e previdenza, bensì circolare, in cui la previdenza che deriva dal lavoro, crea a sua volta lavoro attraverso le proprie risorse, i propri investimenti economici, attraverso il sostegno dell’attività dei professionisti nel periodo in attività. A proposito di ciò, credo che la recente emergenza sanitaria, non ancora purtroppo superata, imponga una profonda revisione dei paradigmi che fino ad oggi hanno regolato l’attività professionale. Certo, gli elementi che dovrebbero essere oggetto di revisione sono tanti e questi elencati sono solo alcuni e forse non tutti i principali.
D. Oltre a una revisione normativa, per il «sistema casse del 103» quali altri ambiti sono da riesaminare?
R. Credo occorra innanzitutto stimolare l’aggregazione di processi gestionali che ogni ente autonomamente realizza, replicando in alcuni casi azioni e funzioni nei fatti identiche. Ciò consentirebbe una migliore efficienza dei processi, e soprattutto un risparmio economico significativo da poter destinare ai propri iscritti. Ritengo inoltre si dovrebbe operare per una maggiore qualificazione degli organi amministrativi attraverso percorsi formativi altamente professionalizzanti e verificabili. È necessario che i vari componenti degli organi direttivi provengano dalla base degli iscritti, ma è altrettanto doveroso imporre elementi certi di qualificazione e competenza.
D. Sul lavoro di organi amministrativi come quello che presiede, quali sono le qualità o proprietà che devono guidarne l’azione?
R. Competenza e trasparenza ritengo siano le due caratteristiche fondamentali e ispiranti qualsiasi azione, in ogni campo d’azione, da quello meno articolato al più complesso come la gestione economica di una collettività. Esiste pure l’aspetto etico, ma da solo questo non è sufficiente; se vogliamo è un prerequisito. Potremmo portare tanti esempi di persone moralmente inattaccabili ma che hanno prodotto danni enormi per una carenza di competenza.
D. Come si conciliano quindi l’autonomia delle casse e l’opportunità di mettere a sistema azioni e funzioni a volte svolte in maniera identica dagli enti?
R. Un aspetto che ritengo essenziale è una progressiva unificazione delle regole adottate dalle varie casse di previdenza. È vero che ogni professione ha le sue caratteristiche e peculiarità che vanno salvaguardate, e che in definitiva costituiscono la ricchezza del sistema; è però altrettanto vero che i liberi professionisti devono diventare una vera e propria componente sociale e produttiva, e credo che questo possa essere realizzato anche attraverso regole comuni e condivise fra le casse e i loro iscritti, che per natura e conformazione culturale sono fondamentalmente degli «individualisti». Basti pensare all’insuccesso delle varie forme societarie per l’espletamento dell’attività professionale.
D. Ciò non significa cedere la propria autonomia?
R. No, assolutamente. Ciò significa crescere nell’autorevolezza, nella professionalità e assumere quel ruolo di «parte sociale» determinante per la rinascita economica e sociale del nostro Paese. Come nel Rinascimento, i grandi della letteratura, delle arti, delle scienze hanno contribuito a cambiare il mondo. Oggi le professioni intellettuali possono esercitare un simile ruolo; dobbiamo solo un po’ «morire nel nostro particolare» e assumere una maggiore responsabilità sociale, consci delle nostre capacità rigenerative.
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