Selezione di notizie assicurative da quotidiani nazionali ed internazionali
Aggiornamento dei modelli 231 non più procrastinabile: è quanto consegue dal dlgs n. 75/2020, entrato in vigore il 30 luglio scorso, e che recepisce la direttiva europea nota come «Pif» (protezione interessi finanziari). Tra le disposizioni di più immediato impatto per le imprese, spicca la responsabilità amministrativa da reato per le grandi frodi Iva, completando così l’opera di estensione della responsabilità ex dlgs n. 231/2001 all’ambito penal-tributario, già in parte realizzata con la riforma dello scorso dicembre di cui alla legge 157/2019.
Le aziende «virtuose». Tra i necessari adempimenti a cui le imprese sono chiamate al ritorno dalla pausa estiva, priorità dovrà essere assicurata all’aggiornamento dei modelli organizzativi, che non potrà essere meramente cosmetico. Non è a priori da escludere, tuttavia, che qualche azienda si sia già anticipatamente conformata ai nuovi obblighi.
«Credo che il controllo da parte dell’Autorità Antitrust sia sempre più orientato al monitoraggio, anche in termini di tutela dei consumatori, dei nuovi mercati. Penso all’attenzione dimostrata nei confronti dei giganti del web e del commercio elettronico. In quest’ultimo settore sono state compiute anche scelte coraggiose, come l’oscuramento dei siti per impedire che i consumatori continuassero a cadere nei tranelli della rete. Mi sembra che l’obiettivo di accompagnare lo sviluppo dell’economia digitale con un presidio forte contro le pratiche scorrette sia una scelta intelligente che non sta però pregiudicando l’attenzione verso settori più ‘tradizionali’ come le forniture di servizi o i trasporti»
Antonio Catricalà, name partner di Lipani Catricalà & Partners ed ex presidente dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato tratteggia come si sia evoluta l’attività in tema di comunicazione pubblicitaria.
La pubblicità e la comunicazione di marca sono variabili complesse da gestire, che impongono un approccio preventivo sia per i general counsel sia per gli studi legali specializzati.
«La valutazione dei rischi legali – e reputazionali – derivanti dalla diffusione di campagne di comunicazione è, sempre di più, un elemento chiave nell’ambito della compliance aziendale, soprattutto per i c.d. big spenders. Il rapporto tra la funzione legale e la funzione comunicazione è sempre più stretto», spiega Gianluca De Cristofaro, partner di Lca Studio Legale e autore del libro Diritto della Pubblicità. Tutela e contenzioso: «Mutuando un principio proprio della normativa in materia di tutela dei dati personali nell’era Gdpr (per esempio, privacy by design), si può dire che ci si sta dirigendo verso un approccio di «advertising by design» in forza del quale le tematiche legali e rischi reputazionali sono valutati sin dalla progettazione e creazione della campagna». In questo contesto «i social trasformano le campagne in «trend topic»; talvolta in senso positivo, talvolta in senso negativo.
Rispetto ai primi tre mesi del 2020, nel secondo trimestre dell’anno, in piena emergenza Covid- 19, si è registrato un incremento degli attacchi informatici di oltre il 250%. Da gennaio a marzo erano stati 47, da aprile a giugno sono stati 171, ben 86 solo a giugno, il mese in cui è stato rilevato il numero maggiore di attacchi, incidenti e violazioni della privacy a danno di aziende, privati e pubblica amministrazione. È quanto emerge dai dati contenuti nella seconda edizione del report elaborato dall’Osservatorio sulla cybersecurity di Exprivia.
Crimini informatici e pandemia. Gli esperti di Exprivia, analizzando 40 fonti di informazione pubbliche, ritengono che l’emergenza abbia influito, in maniera decisiva, sulla sicurezza informatica a causa dell’incremento dello smart working, alla maggiore connessione ai social network e alla riapertura delle industrie subito dopo il lockdown.
Ogni condotta colposa che intervenga sul tempo necessario alla guarigione, pur se non produce ex se un aggravamento della lesione e della relativa perturbazione funzionale, assume rilievo penale allorquando generi la dilatazione del periodo necessario al raggiungimento della guarigione o della stabilizzazione dello stato di salute. Lo ha affermato la Corte di cassazione con la sentenza 5315 del 2020, nella quale ha affrontato una tematica di grande interesse in tema di responsabilità medica.
Secondo gli Ermellini, ciò che occorre stabilire è se possa considerarsi malattia «non l’aggravamento della lesione, ma il prolungamento del tempo necessario per la sua riduzione o per la sua definitiva stabilizzazione, posto che detto ritardo non incide sulla perturbazione funzionale di tipo dinamico. La risposta deve essere positiva e va ricavata proprio dal rapporto fra il concetto giuridico di lesioni e quello di malattia». Il caso in esame della decisione aveva ad oggetto la condotta di tre sanitari imputati per lesioni colpose per non aver diagnosticato alla persona offesa l’esistenza di una lesione vertebrale, i cui esiti algodisfunzionali risultavano tuttavia ascrivibili all’evento traumatico originario (sinistro a bordo di motociclo) e non alla mancata tempestiva diagnosi.
- Welfare, smart working e formazione I nuovi diritti nei futuri contratti
La pandemia ha accentuato le differenze tra chi ha potuto avvalersi dello smart working o non si è fermato perché “essenziale” e chi invece si è trovato nell’impossibilità di continuare la produzione. E così a settembre ai tavoli della contrattazione si parlerà soprattutto di vantaggi economici legati alla produttività e di welfare aziendale (istituti preferiti dalle azienda perché godono di una fiscalità di vantaggio), di regolazione dello smart working e del diritto alla formazione. E anche di aumenti salariali, certo, ma solo valutando la situazione e le prospettive economiche del settore o, meglio ancora, dell’area geografica o addirittura della specifica azienda. Con il decreto di agosto, che prevede la decontribuzione del 30% per le assunzioni nel Mezzogiorno, il governo volente o nolente ha suggerito la strada del decentramento della contrattazione territoriale e aziendale. Altro pilastro importante dei nuovi contratti sarà il diritto alla formazione, fondamentale per evitare che le competenze digitali, divenute indispensabili in particolare con lo smart working, rendano obsoleti i lavoratori più anziani. Un diritto che però non va condizionato alle esigenze delle aziende, suggerisce Del Conte: «Deve garantire la spendibilità del lavoratore anche in funzione di una ricollocazione, se dovesse perdere il lavoro. Il suo posto è nei contratti nazionali».
- La grandine fa un disastro Verona finisce sott’acqua
Nel Veneto frustato da un nubifragio di pioggia e grandine, è la città di Verona a pagare il prezzo più alto. Strade del centro trasformate in torrenti, accumuli di ghiaccio ad altezza uomo, oltre 500 alberi abbattuti, più di 200 chiamate di soccorso. Il maltempo, con la violenza di un tifone mediterraneo, ha causato danni a infrastrutture e opere pubbliche, imprese industriali e agricole, negozi e abitazioni. L’immagine simbolo della tempesta che si è abbattuta sulla città dell’Arena è quella di un uomo coperto da acqua e ghiaccio fino al collo, circondato da auto sommerse. Un angolo di città, quello di via Sant’Alessio, con il teatro romano e l’antica chiesa di Santo Stefano, è irriconoscibile. Oltre a Verona ci sono anche altri comuni della provincia interessati dal nubifragio: San Pietro in Cariano, Castelnuovo del Garda, Lazise, Pescantina, Bussolengo, Sant’Ambrogio di Valpolicella. Ma in Veneto pagano lo scotto anche Vicenza e Padova, anche lì con allagamenti e alberi abbattuti. Il maltempo non risparmia neppure la montagna. Cortina è rimasta isolata da una frana di fango e detriti che ha invaso la strada statale 51 Alemagna, un versante quello puntualmente bersagliato dagli smottamenti che scendono dai versanti del Sorapis. Il personale dell’Anas ha lavorato fino a notte fonda per liberare il tratto dal fango e ripristinare il collegamento con la città ampezzana, dove in questi giorni c’è il pienone di turisti.
- Banche, effetto covid mancano 6 miliardi
La solitudine di Intesa Sanpaolo fotografa la fragilità del sistema italiano del credito. Una condizione resa evidente dai costi della pandemia, in continua evoluzione, che si sono riflessi sull’intero bilancio del secondo trimestre 2020, il più oscuro, senza certezze, se non quelle derivanti dall’obbligatorio lockdown. Le incognite sanitarie sono diventate ostacoli economici: ora tutto è più difficile, incerto, indeterminato. Così i banchieri di casa nostra hanno attivato i meccanismi di difesa e, in attesa di schiarite ancora lontane, hanno aumentato le rettifiche sui crediti vantati dalla rispettiva clientela: Unicredit le ha aumentate dell’87 per cento a oltre 2 miliardi di euro, Intesa del 95 per cento, Bper le ha raddoppiate, il Credem addirittura triplicate. Solo il Creval le ha considerevolmente diminuite, in forza di una politica di pulizia dei crediti che, dal primo giorno, ha animato l’azione dell’amministratore delegato Luigi Lovaglio.
- Private banking, la doppia sfida tra digitale e costi
In tempi di Covid anche le private bank non se la passano bene, con il coronavirus che rischia di accelerare un trend di compressione dei margini in atto ormai da molti anni. La conferma arriva dall’ultimo report di McKinsey sul settore, «The future of private banking in Europe: Preparing for accelerated change», che, se da un lato mostra una ripresa dei profitti del 7 per cento (a 14 miliardi) nel primo trimestre 2020 (nel 2019 erano scesi dell’1,5 per cento), dall’altro lato accende il riflettore su un pericoloso trend di diminuzione dei ricavi, con una caduta nelle entrate derivanti dai mandati di investimento ricorrenti e nell’attività bancaria. Inoltre, secondo McKinsey, la scelta dei clienti di spostare il 3 per cento dei loro asset totali dall’equity alla liquidità, con tassi di interesse nulli o negativi, potrebbe creare un’ulteriore forte diminuzione delle entrate dai mandati di investimenti nei prossimi trimestri. Si prospetta dunque un futuro molto impegnativo per le private bank che, oltre alle pressioni sui ricavi e sui profitti derivanti dalle incertezze causate dalla crisi, dovranno affrontare altre due sfide: l’accelerazione della domanda di servizi digitali da parte dei clienti e il passaggio al lavoro a distanza.
- Sul danno futuro decide il giudice ma con indici scientifici e aggiornati
Il danno futuro legato al mancato utile economico, che colpisce la vittima di un fatto illecito per il resto della sua esistenza, è spesso di difficile inquadramento e liquidazione. Si tratta di una particolare dimensione di danno su cui da tempo si concentra la giurisprudenza. Ampio spazio è lasciato alla discrezionalità del giudice di merito che però deve sempre valutare il danno partendo da una base oggettiva (l’incapacità lavorativa accertata dal medico legale e l’entità della flessione documentata) e poi parametrarla sulla base di indici di calcolo quanto più scientifici e aggiornati. La vittima, ad esempio, di un incidente stradale che riporta lesioni gravi, oltre a subire menomazioni permanenti che l’ordinamento compensa in termini di danno biologico e non patrimoniale, può anche riportare effetti sulle proprie funzioni dinamiche e professionali non riuscendo più, in tutto o in parte, a svolgere le mansioni precedenti. Si pensi all’operaio che subisca lesioni agli arti, o all’atleta professionista che non possa più competere ai livelli pre-sinistro. In questi casi, il danno patrimoniale subito dalla vittima si compone di una parte, il “danno emergente”, che attiene all’incidenza dei costi di cure e ripristino nell’immediatezza del fatto, e di un’altra parte, il “lucro cessante”, che riguarda il futuro dell’esistenza menomata e le possibili flessioni di guadagno. I meccanismi di calcolo di questo danno ipotetico, che deve essere valutato dal giudice sulla base degli elementi oggettivi accertati in istruttoria, si sono affinati nella consuetudine giurisprudenziale.
- La mutua assicuratrice Covéa sta per rimodellare la sua governance