di Anna Messia
C’era bisogno di aprire a investitori esterni per soddisfare in tempi brevi le richieste dell’Ivass di aumentare il capitale di Cattolica di 500 milioni e, in ogni caso, la stragrande maggioranza dei soci della compagnia assicurativa è d’accordo con le scelta di far entrare Generali nell’azionariato con il 24,4% del capitale, che ha comportato la limitazione del diritto di opzione. Sono queste, in sintesi, le motivazioni che hanno portato il giudice del Tribunale delle Imprese di Venezia, Lina Tosi, a respingere la richiesta di sospensiva della delibera di aumento di capitale approvata lo scorso 27 giugno dall’assemblea della compagnia guidata dall’amministratore delegato Carlo Ferraresi. Un ricorso avanzato da 34 soci rispetto ai 18.617 iscritti a libro di Cattolica, scrive Tosi nell’ordinanza, aggiungendo che quindi «la stragrande maggioranza dei soci non è impugnante e deve dunque ritenersi adesiva al progetto insito nella deliberazione».
Non solo; la ragione principale del respingimento del ricorso è legata al fatto che, senza quell’aumento di capitale, i danni subiti da Cattolica sarebbero stati decisamente pesanti, non solo per le eventuali multe di Ivass ma soprattutto per le penalizzazioni che sarebbero arrivate dal mercato, considerando che il titolo è quotato a Piazza Affari. «I tempi e le urgenze consacrati dallo stesso Istituto di Vigilanza non sono prevedibilmente soddisfacibili da un aumento di tale mole (500 milioni) che venisse integralmente offerto agli azionisti; occorrendo invece l’apertura a investitori esterni», spiega ancora Tosi. «Per dare una misura, si osservi come l’aumento deliberato dal consiglio di amministrazione il 4 agosto per la parte riservata a Generali preveda l’emissione di 54.054.054 azioni al prezzo unitario di euro 5,55, di cui 2,55 a titolo di sovrapprezzo. Già solo la collocazione integrale di un tal numero di azioni ai soci preesistenti implicherebbe la sottoscrizione da parte di ciascuno di essi, in media, di quasi 3.000 azioni (16.650 euro); e sarebbe una sola porzione, poco più della metà, dell’aumento rappresentato come urgente e necessario dall’Istituto di Vigilanza». Secondo Tosi, «il non soddisfare tale urgenza comporterebbe per la società gravi danni non tanto e non solo in termini di sanzioni da parte della Vigilanza ma soprattutto in termini di capacità di resistere alle tensioni di mercato, secondo gli esiti di una valutazione autorevolissima (proveniente appunto dall’Ivass, ndr); a petto dei quali si pone il diritto risarcitorio di una quota modesta di soci e di azionisti».
Una vittoria che suona come netta dopo mesi di guerre legali che vedono contrapposti un gruppo di soci dissidenti alle scelte societarie, a partire dalla cacciata dell’ex amministratore delegato Alberto Minali di ottobre 2019 fino alla scelta di chiamare Generali per puntellare l’aumento. L’operazione con il Leone «prosegue come previsto dagli accordi a suo tempo stipulati e comunicati», hanno sottolineato da Cattolica. L’aumento di capitale da 300 milioni per Trieste è in agenda per settembre. (riproduzione riservata)
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