Le ultime stime sulla crescita dell’Italia prevedono un rallentamento che ridurrà l’assegno pubblico. Di qui l’importanza di aderire ai fondi pensione
di Carlo Giuro

Stagnazione o primi segnale di recessione? In base ai dati preliminari dell’Istat, diffusi nei giorni scorsi, nel secondo trimestre 2019 l’Italia ha registrato una variazione nulla del pil sia rispetto al primo trimestre sia rispetto allo stesso periodo 2018. Mentre l’Fmi nelle sue ultime previsioni sull’Italia stima un pil al +0,1% nel 2019 e al +0,8% nel 2020, con una revisione al ribasso rispetto al +0,9% indicato ad aprile. Questi valori seguono il +1,5% segnato dall’Italia nel 2017 e il +0,9% del 2018. Intanto secondo il più recente rapporto Economic Outlook dell’Ocse, l’Italia nel 2019 avrà un pil a zero, e l’espansione sarà modesta, allo 0,6%, nel 2020. Il rapporto deficit/pil dell’Italia dovrebbe crescere ulteriormente, dal 2,1% del 2018 al 2,4% del 2019, fino al 2,9% nel 2020, portando il debito pubblico al 135% del pil nello stesso anno.
L’organismo internazionale auspica che il governo realizzi un «piano di riforma a medio termine chiaro e credibile per stimolare la crescita e ridurre il rapporto debito/pil». Intanto, ha rilevato sempre l’Ocse, la disoccupazione dell’Italia, ha «smesso di diminuire e resta alta, soprattutto tra giovani e donne».
In attesa di verificare l’effettiva dinamica dello sviluppo economico del Paese è importante, in ogni caso, evidenziare gli effetti del rallentamento dal punto di vista previdenziale. Con una premessa: per i contributi versati dal 2012 in avanti si applica ormai a tutte le pensioni in maturazione il metodo di calcolo contributivo. E il montante virtuale accantonato viene rivalutato annualmente sulla base delle media del pil degli ultimi cinque anni.
La traduzione concreta è che una mancata crescita economica impatta in maniera negativa anche sull’entità del futuro trattamento previdenziale. Come ha ricordato di recente l’Ania, in un’analisi di approfondimento sulla busta arancione (ovvero il documento che simula la pensione attesa) a parità di contributi versati, ogni punto in meno di pil equivale, dopo 35 anni, a una rendita pensionistica più bassa del 16%. E’ allora da considerare anche il rischio economico nel proprio percorso di pianificazione previdenziale considerando con sempre maggiore attenzione, come soluzione di diversificazione, l’adesione ai fondi pensione. La previdenza complementare è infatti strutturata dal punto di vista finanziario sulla capitalizzazione con l’investimento nei mercati finanziari dei contributi versati. Va scelto però il comparto di investimento più adatto considerando il proprio profilo rischio-rendimento congruo con l’orizzonte temporale e prevedendo, laddove possibile, una diversificazione finanziaria sia in senso orizzontale che verticale. Con riferimento al primo profilo, nel concreto, si tratta di ripartire il proprio contributo su più linee di investimento in maniera da proteggere il proprio portafoglio previdenziale nei confronti della volatilità dei mercati.
In senso verticale va adottato il metodo del ciclo di vita con una esposizione azionaria più consistente in età giovane e quindi lontana dal pensionamento, per poi raffreddare progressivamente il proprio profilo di rischio all’approssimarsi della quiescenza optando a fine carriera per un «soft landing» che sterilizzi l’aleatorietà dell’investimento. A ridosso del pensionamento va consolidata la posizione da convertire in rendita. Altro effetto benefico dell’adesione ai fondi pensione è rappresentato dalla possibilità di attingere allo zainetto accantonato in caso di particolari esigenze con le anticipazioni (fino al 75% da subito per esigenze sanitarie di particolare gravità, fino al 75% dopo otto anni di iscrizione alla previdenza complementare per acquisto e ristrutturazione prima casa per sé o per i figli, fino al 30% dopo otto anni per qualsiasi esigenza).
E’ anche importante ricordare come il fondo pensione, alla luce delle innovazioni introdotte negli ultimi anni, può fungere da cuscinetto in caso di uscita anticipata dal mercato del lavoro con la nuova Rita, forma di riscatto frazionato che può fornire un reddito finanziario ponte fino al pensionamento. Più nello specifico sono legittimati a fare domanda per la Rita i lavoratori che abbiano cessato l’attività lavorativa e a cui manchino non più di cinque anni all’età prevista per la pensione di vecchiaia purché siano in possesso di un requisito contributivo di almeno 20 anni nei regimi obbligatori di appartenenza. Possono chiedere la Rita anche i disoccupati da più di 24 mesi cui manchino non più di 10 anni all’età prevista per la pensione di vecchiaia nel regime obbligatorio di appartenenza. Per entrambe le fattispecie è necessario avere il requisito di cinque anni di partecipazione alla previdenza complementare. Sotto il profilo fiscale, c’è da evidenziare che i fondi pensione prevedono un prelievo sulle prestazioni consistente in una ritenuta a titolo d’imposta (senza ulteriore applicazione di addizionali regionali o comunali) con l’aliquota del 15% ridotta dello 0,3 per cento per ogni anno eccedente il 15° anno di partecipazione, con un limite massimo di riduzione del 6% (quindi si arriva al 9%).
Inoltre i fondi pensione non scontano l’imposta di bollo che colpisce quasi tutti gli altri strumenti finanziari (a eccezione anche dei fondi sanitari e delle gestioni separate di ramo I). Inoltre i rendimenti prodotti nel corso della gestione sono tassati con aliquota ridotta del 20% rispetto al 26% previsto per le altre rendite finanziarie. (riproduzione riservata)

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