di Elena dal Maso
Un miliardo di euro di munizioni potrebbe servire a Mediobanca per potersi difendere dagli attacchi esterni dei fondi attivisti. Una parte, 230 milioni circa, arrivano da liquidità disponibili, il resto dalla futura cessione del 3% del pacchetto Generali . Questa potenza di fuoco potrebbe per esempio essere usata per muoversi su Azimut holding, la società di Piazza Affari fondata da Pietro Giuliani e che capitalizza 2 miliardi di euro. Sul mercato gira da tempo la voce di un’opa che sarebbe in preparazione. Questa volta l’operazione assumerebbe un valore strategico per Piazzetta Cuccia e non solo industriale. Se si trattasse di un’opas, un’offerta pubblica di acquisto e scambio con azioni Mediobanca , il progetto avrebbe tre punti di forza dal lato di Piazzetta Cuccia. Il primo è di barriera: usare i proventi dalla cessione del 3% di Generali per l’opas impedendo a fondi hedge o attivisti quali Elliott o Marshall Wace per esempio di tentare una scalata a Mediobanca sullo stile di Telecom Italia nel tentativo di impossessarsi dell’intero pacchetto Generali . La seconda è che un’opas andrebbe a ricostituire uno zoccolo duro di soci nel momento in cui il patto di sindacato di Mediobanca sta per sciogliersi. A settembre, infatti, Unicredit (che possiede una quota dell’8,4%) potrebbe uscire dall’accordo che oggi vincola il 28,5% del capitale.
E i soci dovrebbero ricostituire un nuovo vincolo al 20%, questa volta più labile. La terza ragione è di natura industriale ed è quella che sta spingendo gli attori finanziari in Europa verso un consolidamento obbligato. Nasce dal fatto che produrre margini adeguati con tassi ancora a zero per diverso tempo e una normativa bancaria complessa e costosa è sempre più difficile. Bisogna aumentare le masse. Il l 26 luglio Mediobanca Securities ha emesso una nota che ha destato attenzione. Gli analisti di Piazzetta Cuccia, da tempo piuttosto critici nei confronti del titolo Azimut , hanno fatto una doppia promozione del titolo passandolo da underperform a outperform e fissando un nuovo target price a 15,2 euro. A quella data la società scambiava a 13,18 euro (venerdì 10 era attorno a 13,9 euro). Non solo. Gli analisti hanno anche scritto che se Azimut separasse le tre attività, ovvero estero, asset management e private banker, emergerebbe un valore per ora implicito di 4 euro in più ad azione, quindi si arriverebbe a 17,18 euro. Mediobanca a questo punto ha aggiunto che «un break-up delle attività renderebbe Azimut interessante per un takeover». Nel comunicare i risultati di raccolta di luglio, il presidente Pietro Giuliani ha colto l’occasione per dire la sua in maniera chiara: «Azimut non è una società come le altre, e con short e presunte opa ostili non si ottengono i risultati sperati: le persone che la costituiscono potrebbero ringraziare per i soldi ricevuti (pochi rispetto al valore reale) e ricostruire in pochi mesi la società». Giuliani ritiene, come ha pubblicato MF-Milano Finanza in un’intervista la settimana scorsa, che Azimut valga molto di più, fino a 50 euro per azione. Da un lato è vero che, con i risultati dello scorso mese (un record annuale di 775 milioni di euro, cui ha contribuito molto il Brasile, oltre all’Italia) gli afflussi netti da inizio 2018 si sono portati a 3,142 miliardi, dei 3,5 miliardi previsti da Mediobanca per tutto il 2018. Dall’altro, però, gli analisti in generale non sono molto morbidi con la società che ha asset in gestione per 41,6 miliardi (52,7 miliardi quelli complessivi). Il target price di Akros è di 16 euro, quello di Equita sim di 17 euro, Banca Imi lo ha fissato invece a 15 euro, mentre Kepler Cheuvreux è più stretta di manica e si ferma a 14,5 euro. Una delle ragioni è che le commissioni di performance si basano sul buon andamento dei corsi azionari e quest’anno il trading non sta aiutando neppure le banche, l’altra riguarda la normativa europea Mifid 2, che da gennaio renderà più trasparenti i costi dei fondi premendo al ribasso i margini delle società.
Che gli uomini di Mediobanca apprezzino Azimut lo si è visto a giugno. Timone Fiduciaria, che raccoglie Giuliani e i dipendenti del gruppo, ha annunciato che salirà dal 16,4 al 24,2% del capitale entro dicembre grazie a un patto di sindacato al quale ha aderito un socio istituzionale con sede a Londra, Peninsula Capital. Quest’ultima ha investito 60 milioni di euro per avere il 2,8% della società italiana. Nel board di Peninsula siede da qualche mese Stefano Marsaglia, ex responsabile dell’investment banking di Mediobanca , una lunga esperienza in fatto di M&A. Marsaglia ha lasciato Mediobanca e il ceo Alberto Nagel in buoni rapporti. Nel board della società inglese siede anche Javier de la Rica, ex vice presidente di Mediobanca in Spagna. (riproduzione riservata)
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