di Lucio Sironi
Dal podio delle azioni più vendute al ribasso è proprio difficile scalzarla. Passano gli anni ma Azimut a Piazza Affari resta la regina delle shortate, come si dice in gergo tecnico, ossia il titolo più venduto allo scoperto, senza possederlo (chi fa questa operazione scommette sul fatto di poterlo poi comprare a un prezzo inferiore): 9,2% del capitale secondo le ultime rilevazioni Consob, non poco per una società che capitalizza in borsa circa 2 miliardi di euro, tra le più importanti nel panorama del risparmio gestito italiano. A vendere questo titolo allo scoperto sono soprattutto hedge fund americani, ma in casa Azimut sospettano -non da adesso- che dietro vi siano mandanti italiani, verosimilmente concorrenti interessati a mettere le mani su un gruppo che nel suo settore ha creato un modello che integra la gestione dei patrimoni (masse totali per 52 miliardi di euro di cui una decina di milioni di amministrate) con una rete distributiva in Italia di oltre 1700 consulenti finanziari.
Con il contorno di una presenza crescente nel private equity e di una diversificazione all’estero, soprattutto Paesi emergenti come Brasile e altri del Sudamerica, Cina dove è tra i pochi al mondo autorizzati a gestire fondi comuni locali, o fuori dalle rotte abituali come l’Australia, che ha portato il gruppo milanese a raccogliere ormai quasi il 25% del risparmio che gestisce al di fuori dell’Italia. «Proposte di acquisizione ne riceviamo da tempo, da pretendenti italiani e stranieri», spiega il fondatore e presidente di Azimut , Pietro Giuliani. «E non è un segreto che vi siano importanti nomi della finanza, anche di casa nostra, che ultimamente hanno dichiarato di volersi ritagliare uno spazio importante nell’industria del risparmio gestito». Operazione non così semplice però. Ecco allora che ai loro occhi il gruppo Azimut , l’unico indipendente in circolazione, controllato con meno del 25% del capitale da una fiduciaria che riunisce le persone che vi lavorano, teoricamente contendibile, è una delle poche soluzioni, forse la sola, che consentirebbe a questi concorrenti di realizzare gli obiettivi di crescita che si sono posti. «Ma non essendo noi in vendita», aggiunge Giuliani, «cercano di crearci difficoltà mettendo il nostro titolo sotto pressione».
Domanda. Nel comunicato che ha accompagnato i numeri della semestrale, lei ha parlato di «alcune fantasiose ipotesi sul futuro valore di Azimut ». Di recente uno studio di Mediobanca stimava che se Azimut separasse in tre parti le sue attività -le estere, quelle di asset management dedicate al mercato domestico e la rete di consulenti finanziari in Italia- il gruppo varrebbe 4 euro in più.
Risposta. Nella nostra nota ho preso l’occasione per ribadire che noi siamo convinti di poter elevare il valore del titolo a 50 euro, senza ricorrere ad alcun tipo di spezzatino perchè la forza di questa società è il suo modello integrato di gestione più distribuzione, con tanto di espansione all’estero. Tutti elementi di originalità che molti ora cercano di replicare, dopo averli criticati per anni. E ho ricordato poi che non più tardi di un mese fa 1.200 colleghi che lavorano in Azimut hanno impegnato ulteriori 100 milioni di euro in un’operazione di leverage buy out, affiancati da un fondo di private equity che ha investito a sua volta circa 60 milioni. Tutti questi azionisti sono sottoposti a lock up, fino a 65 anni di età nel caso dei cf, e anche il fondo Peninsula ha dei vincoli da rispettare. Prova tangibile del fatto che crediamo fortemente che l’azione sia sottovalutata, che ha spazi enormi di crescita e che i primi a guadagnarci vorremmo che fossero quanti lavorano in questo gruppo.
D. In occasione dell’ultima trimestrale, pochi giorni fa, l’ad di Mediobanca ha detto che la quotazione di CheBanca! potrebbe essere valutata solo nell’ambito di un’eventuale grande operazione di crescita per linee esterne. Dal momento che una delle ipotesi che circolano da tempo sul mercato riguarda l’integrazione di CheBanca! con Azimut , lei alludeva a qualcosa del genere quando ha parlato, a sua volta in occasione della vostra trimestrale, di «fantasiose ipotesi forse fatte pro domo propria»?
R. Certamente una simile operazione sarebbe fatta nell’interesse degli azionisti… di Mediobanca . Ai valori attuali chiunque fondesse o comprasse la totalità o una parte di Azimut pagherebbe neanche un terzo del reale valore, e ciò è contro l’interesse degli azionisti di Azimut .
D. Il traguardo da lei indicato di 50 euro, che significa circa tre volte e mezzo quanto vale ora l’azione, dovrebbe essere raggiunto entro la fine del piano industriale, è così?
R. Sì, il piano scade con l’esercizio 2019, i cui conti saranno comunicati nel marzo 2020. Confidiamo che per allora i nodi siano venuti al pettine e questo gioco al ribasso sia debellato dai numeri, a cominciare da quelli di bilancio, dove gli investimenti fatti all’estero cominceranno a dispiegare i loro effetti, laddove i costi invece sono già spesati. Già in quest’ultima semestrale, per fare un esempio di cosa intendo dire, a spiazzare gli analisti è giunto il contributo di 5 milioni di euro proveniente dalle performance fee dei fondi gestiti in Brasile. In ogni caso ci aspettiamo di crescere ancora molto nei paesi in cui stiamo investendo, e se ora le masse in gestione ammontano a circa 13 miliardi, abbiamo obiettivi molto ma molto superiori.
D. Quali altri possono essere i volani della crescita per Azimut ?
R. Abbiamo investito e stiamo accumulando competenze importanti nel corporate. Cinque anni fa abbiamo lanciato il progetto Libera impresa, da cui è nato tra l’altro il primo e unico fondo chiuso italiano specializzato nel private debt per la clientela retail, che fa credito alle pmi. C’è poi in rampa di lancio un fondo che investe nel venture capital. Prodotti che solo noi riusciamo a proporre e che incontrano l’interesse degli investitori in cerca di accessi all’economia reale.
D. Per i vostri conti sarà comunque sempre determinante l’andamento dei mercati…
R. Quest’anno sono fiacchi e il loro apporto sarà inferiore per esempio all’anno scorso. Ma come sappiamo sono ciclici e torneranno a giocare a favore. Anche sul fronte dei cambi ci aspettiamo una progressiva convergenza delle valute dei Paesi emergenti, oggi in molti casi ai minimi termini, verso quelle delle economie mature. Resta il fatto che Azimut oggi scambia a multipli inferiori ai suoi concorrenti mentre è tra quelle che guadagnano di più. Nel 2015 l’azione Azimut ha sfiorato quota 30 euro dopo aver registrato un utile annuo di 250 milioni. Noi ci aspettiamo che l’anno prossimo l’utile salga a 300 milioni, ma senza tenere conto della crescita organica che c’è stata finora e continuerà a esserci, di fronte alla quale una quotazione di 50 euro è un ragionevole rispecchiamento della realtà numerica.
D. Lei sta reinvestendo in Azimut quasi tutto quello che aveva guadagnato quando vendette buona parte della sua partecipazione originaria, operazione che risale appunto al 2015. Quale sarà la sua partecipazione al termine del lbo in corso?
R. Dipenderà dall’andamento del titolo. Il mio investimento attuale nella società ammonta a 27,5 milioni, sui 30 netti incassati nel 2015. Soldi ora impiegati anche per strutturare il finanziamento che è alla base dell’operazione che ha consentito a Timone Fiduciaria di salire dal 15% al 24,2% del capitale di Azimut . Comunque in questo momento la mia quota nella società si sta avvicinando all’1%. (riproduzione riservata)
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