L’Italia mette in riga la rete. A un anno dalla sua costituzione, la Commissione parlamentare per i diritti e i doveri sul web ha presentato la prima e unica «dichiarazione dei diritti in internet» al mondo. Il documento, nato su iniziativa parlamentare e sottoposto a consultazione pubblica, definisce in 14 punti i limiti di tolleranza concessi alla rete: dalla tutela dei dati personali alla protezione dell’anonimato, dal diritto all’oblio al diritto all’inviolabilità dei sistemi, dei dispositivi e domicili informatici, passando per il diritto di accesso alla rete, la sua sicurezza e il governo del web. «Abbiamo costituito una commissione composta di deputati e di esperti, tutti a titolo gratuito, per mettere insieme persone con sensibilità e opinioni diverse per arrivare a una sintesi che potesse avere l’adesione di tutti», ha spiegato il presidente della camera, Laura Boldrini annunciando che il testo sarà presentato al prossimo Internet governance forum in Brasile. Dodici sedute, sei incontri di audizioni di 46 esperti, e una consultazione pubblica durata 5 mesi, con 14 mila accessi e 590 opinioni espresse hanno portato all’elaborazione della Carta.
I 14 principi della Dichiarazione. Il documento stabilisce il riconoscimento e la garanzia in internet dei diritti fondamentali di ogni persona riconosciuti dalla Dichiarazione universale dei diritti umani delle Nazioni Unite, dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, dalle costituzioni nazionali e dalle dichiarazioni internazionali in materia. Stabilito questo punto fermo, la Commissione ha ritenuto doveroso sancire il diritto all’accesso al web. «Internet è diventato così importante per la vita delle persone che l’accesso alla rete deve essere considerato come un vero e proprio diritto», hanno spiegato i promotori della Dichiarazione all’articolo 2. Per questa ragione deve essere garantita a tutti la parità nell’accesso (libertà di scelta di dispositivi, sistemi operativi e applicazioni) e la sua applicazione al di là del semplice collegamento alla rete. Ma è l’articolo 5 uno dei più rivoluzionari del documento: «ogni persona ha diritto alla protezione dei dati che la riguardano, per garantire il rispetto della sua dignità, identità e riservatezza; ha diritto di accedere ai dati raccolti che la riguardano, di ottenerne la rettifica e la cancellazione per motivi legittimi». Di fatto l’articolo non fa riferimento esclusivo ai dati personali. Si è infatti ritenuto di estendere le tutele alle informazioni che consentono di risalire all’identità di una persona, compresi i dati dei dispositivi, quanto da essi generato e le loro acquisizioni ed elaborazioni, come quelle legate alla produzione di profili. Non solo. La Carta contiene una norma in base alla quale sono vietati l’accesso e il trattamento dei dati con finalità anche indirettamente discriminatorie. E per chi non volesse portare a conoscenza di altri le informazioni sul proprio conto, l’articolo 10 mette in chiaro le cose: «ogni persona può accedere alla rete e comunicare elettronicamente usando strumenti anche di natura tecnica che proteggano l’anonimato ed evitino la raccolta di dati personali, in particolare per esercitare le libertà civili e politiche senza subire discriminazioni o censure». Con alcune limitazioni giustificate dall’esigenza di tutelare rilevanti interessi pubblici. A patto che non vengano violate la dignità e i diritti fondamentali delle persone. In questo caso, l’autorità giudiziaria potrà disporre l’identificazione dell’autore della comunicazione con provvedimento motivato. E se l’anonimato non dovesse bastare, i promotori della Carta hanno messo nero su bianco la necessità da parte degli operatori del web di garantire ai propri utenti il diritto all’oblio, ovvero il diritto di ottenere la cancellazione dagli indici dei motori di ricerca dei riferimenti a informazioni che, per il loro contenuto o per il tempo trascorso dal momento della loro raccolta, non hanno più rilevanza pubblica.