Non solo strumenti di capitale. Anche la crescita dei minibond è un segnale della ricerca da parte delle imprese di fonti di finanziamento alternative al mondo bancario. Il riferimento è alle emissioni obbligazionarie, introdotte con il decreto sviluppo del 2012 (e poi oggetto di ulteriori innovazioni legislative), con l’obiettivo di facilitare la raccolta di capitali da parte delle società non quotate. Tra le altre cose, sono state introdotte facilitazioni di tipo fiscale e alcune semplificazioni burocratiche (per esempio i prospetti informativi richiesti sono molto più snelli rispetto a quelli tradizionali, essendo sufficiente la certificazione degli ultimi due bilanci), che riducono i costi a carico dell’emittente.

 

Crescono le emissioni di taglio ridotto. Secondo l’ultima rivelazione di MinibondItaly.it ed Epic Sim, alla fine del primo semestre il mercato ExtraMot Pro riservato a questi prodotti ha raggiunto quota 114 emissioni, superando la soglia dei 5 miliardi di euro in termini di controvalore. Tutte le emissioni del 2015 appartengono alla fascia inferiore a 50 milioni, quella dei veri minibond, che rappresentano ora il 19% del mercato. Tra queste ultime la ricerca segnala un forte incremento tra le aziende del comparto food&beverage, con una concentrazione delle emissioni tra le aziende del Nord Italia, in particolare Veneto, Lombardia, Piemonte ed Emilia-Romagna, che nel loro insieme coprono il 75% del mercato. Il taglio medio ammonta a 9,8 milioni di euro, la scadenza a 5,6 anni, mentre la struttura del rimborso è nel 67% dei casi bullet (tutto a scadenza) e nel 33% con piano di ammortamento. Infine la cedola media annua ammonta al 5,81%.

 

La ricerca di target adeguati. Negli ultimi due anni sono nati diversi fondi specializzati nell’investimento in minibond. A promuoverli, soprattutto operatori finanziatori che hanno chiamato a raccolta investitori istituzionali o detentori di grandi portafogli. «L’analisi che ogni investitore conduce sulle aziende emittenti minibond riguardano tre aspetti: la qualità del management, intesa come professionalità degli stessi e dei loro successi aziendali; l’analisi economico-patrimoniale della società sia per quanto concerne i dati storici che per le prospettive di sviluppo; infine l’analisi del settore di appartenenza dell’azienda», spiega Vania Serena, gestore di Finint, nonché del fondo Minibond Pmi Italia, promosso dalla stessa banca d’affari. Tra gli investimenti effettuati, è indicativa sulle caratteristiche dello strumento l’emissione HydroNond, strutturata da Finint per conto di otto società di gestione del servizio idrico integrato operanti in Veneto. Ha consentito di raccogliere 150 milioni di euro funzionali al finanziamento di un piano consortile di investimenti previsto per i prossimi anni, basato su 728 interventi di miglioramento delle infrastrutture di acquedotti e depuratori. Quali i costi medi delle emissioni? «Il tasso è composto da tre fattori», sottolinea Serena. «L’andamento del mercato, il merito di credito dell’emittente e dall’illiquidità dello strumento stesso. Oltre alla componente di costo cedolare ci sono ulteriori costi correlati all’emissione di un minibond che si esplicitano principalmente nell’arrangement fee e nel costo dello studio legale che segue l’operazione. Infine, vi è il costo di Borsa italiana per la quotazione dei titolo, pari a 2.500 euro una tantum», conclude.

 

Il venture capital cresce a piccoli passi. Per le nuove aziende l’accesso al mercati dei capitali è una missione (quasi) impossibile. Così, anche se le buone idee non mancano, spesso si trovano a fare i conti con le difficoltà di trovare finanziatori disposti a condividere l’avventura. Anche se la situazione è in lento miglioramento a leggere i dati dell’ultimo Venture capital monitor, realizzato dall’osservatorio sull’argomento, istituito dalla Liuc-Università Cattaneo e da Aifi) Associazione italiana del private equity e venture Capital).

Il 2014 si è chiuso con una crescita dei nuovi investimenti in seed (investimento nella primissima fase di sperimentazione dell’idea di impresa) e start-up (investimento per l’avvio dell’attività imprenditoriale), con 71 operazioni, l’8% in più rispetto al 2013. Il progresso è del 25% se si fa il confronto con il dato 2012.

Il decreto start-up (dl 18 ottobre 2012, n. 179) entrato in vigore nel dicembre 2012, ha iniziato a mostrare effetti positivi già a partire dal 2013, proseguendo nel 2014. Il numero degli investitori attivi (coloro che hanno fatto almeno un’operazione durante l’anno) si è attestato a quota 33, in crescita del 6% nell’ultimo anno.

Per quanto riguarda le operazioni di seed capital, l’ammontare medio investito è di 0,3 milioni di euro per l’acquisizione di una quota media pari al 50%. Nelle operazioni di start-up, l’ammontare medio per il 2014 è stato di 1,4 milioni di euro per acquisire una quota media di partecipazione apri al 23%.

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