Il consumatore ha diritto al risarcimento per le operazioni di investimento andate male ed eseguite dalla banca sui suoi risparmi senza un ordine certo. Non è necessario che dimostri il nesso causale fra il danno subito e l’attività sbagliata dell’istituto di credito. Lo ha sancito la Suprema corte di cassazione che, con la sentenza n. 17795 del 7 agosto 2014, ha respinto il ricorso di una banca che aveva perso del denaro sui conti di un consumatore per investimenti sbagliati.
In particolare gli ordini erano risultati con firma apocrifa o in bianco. I giudici di merito avevano accordato i danni al risparmiatore e ora la decisione è stata resa definitiva dalla prima sezione civile della Suprema corte.
In particolare, ad avviso degli Ermellini, la sentenza ha accertato l’illiceità di tutte le operazioni d’investimento eseguite sulla base di ordini non conferiti e/o non conosciuti dalla cliente ed ha, conseguentemente desunto, che le perdite patrimoniali prodotte da tali operazioni fossero causalmente imputabili a chi le avesse unilateralmente poste in essere, mediante una valutazione globale del pregiudizio patrimoniale, in quanto giustificato dall’illustrata natura delle operazioni eseguite.
Ne consegue la palese irrilevanza della mancata allegazione del nesso causale relativo a ciascuna operazione, non essendo stato mai né dedotto né allegato né provato dalla banca che una o più di tali operazioni non avessero determinato perdite patrimoniali pari al capitale investito allegate e dimostrate dalla cliente. Ma non è tutto.
In sentenza si chiarisce, inoltre, che non è necessario che il risparmiatore contesti tempestivamente il danno subito, in quanto è assorbente ed esclusiva la mancata informazione preventiva e conoscenza delle operazioni della banca da parte del risparmiatore.
Sul fronte degli interessi, riconosciuti dalla Corte d’appello di Torino, e contestati dall’istituto di credito, i supremi giudici hanno sottolineato che questi non possono essere calcolati dalla data dell’illecito sulla sola somma rivalutata «perché la somma dovuta, il cui mancato godimento va risarcito, va aumentata gradualmente nell’intervallo di tempo occorso tra la data del sinistro e quella della liquidazione». Ma non solo. «Sull’importo liquidato alla data della pronuncia», ha scritto Piazza Cavour, «possono essere riconosciuti gli interessi compensativi, da calcolarsi nella misura degli interessi al tasso legale sulla minor somma che ne avrebbe costituito l’equivalente monetario alla data di insorgenza del credito».
Nulla da fare, invece, per il risparmiatore sulla richiesta dei danno da mancato guadagno. Il cliente, per vedersi liquidare questa ulteriore voce, insieme al danno emergente, avrebbe dovuto documentare che il venir meno dei risparmi non gli ha permesso di guadagnare altro denaro. Di diverso avviso la procura generale di Piazza Cavour che aveva sollecitato di accogliere le ragioni presentata nel ricorso della banca.
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