Difficile esprimere un giudizio sulla bontà delle scelte legislative in tema di responsabilità dell’esercente la professione sanitaria senza dare conto di alcune criticità interpretative: è in dubbio la tenuta costituzionale della norma». Giulio Ponzanelli, avvocato presso Bonelli Erede Pappalardo di Milano e ordinario di istituzioni di diritto privato presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, traccia un quadro d’insieme molto complesso. «La questione di legittimità costituzionale della legge, in ambito penale, è già stata sollevata dal Tribunale di Milano, e certamente anche in ambito civile l’interprete deve confrontarsi con almeno due dati normativi non particolarmente chiari come testimoniano anche le prime pronunce di merito sul punto: il riferimento all’art. 2043 c.c. e la determinazione del danno, in uno con la delineazione dell’ambito applicativo stesso dell’art. 3, primo comma.
«Poco si è investito », aggiunge Ponzanelli, «in termini di gestione dei rischi e prevenzione del contenzioso da parte delle strutture sanitarie che paiono collocarsi sullo sfondo della riforma, se si esclude l’art. 3-bis che invita genericamente le strutture sanitarie ad attivarsi in tal senso, ma senza oneri aggiuntivi a carico del sistema. Non sono, pertanto, previsti specifici percorsi alternativi di gestione del conflitto anche in una prospettiva di attenuazione e prevenzione della conflittualità medesima spesso generata dal fallimento in sé della c.d. alleanza terapeutica tra medico e paziente». «La sensazione che è la riforma, per il profili attinenti alla responsabilità sanitaria, civile in particolare, non abbia quel respiro ampio e quella visione d’insieme che forse sarebbe stato legittimo attendersi».
Quali sono le ragioni che hanno portato a questa paradossale situazione in cui nessuno assicura più una struttura ospedaliera o un medico? Secondo l’avvocato Rosanna Breda, ricercatore di Istituzioni diritto privato presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Sudi di Brescia, le ragioni sono innumerevoli. «Il mutamento della percezione stessa della salute e della cura. Certamente vi è stata alla base anche la difficoltà da parte delle strutture sanitarie medesime di gestire la propria rischiosità attraverso politiche di governo e prevenzione dei rischi che assai verosimilmente avrebbero giovato anche sotto il profilo assicurativo. Le compagnie assicurative, da parte loro, hanno reagito in prima battuta con una fuga dal mercato o con un innalzamento dei premi faticando a creare sinergie virtuose nei termini di cui sopra. Esiguo anche lo spazio riservato nel corso del tempo a meccanismi alternativi di gestione della conflittualità e di attenuazione della logica antagonistica che caratterizza i rapporti tra tutti gli attori istituzionali: medici, pazienti ma anche strutture, e compagnie assicurative».
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