di Angelo De MAttia
Contrordine. Avevamo martedì manifestato apprezzamento per il parere contrario del governo, in sede di conversione del decreto sulla spending review in discussione al Senato, ai numerosi e trasversali emendamenti che chiedevano il mantenimento in vita della Covip, la Commissione di vigilanza sui fondi pensione, sottraendo le relative funzioni al trasferimento al nuovo ente, l’Ivarp istituito con il decreto, previa soppressione della stessa Covip e dell’Isvap, l’Autorità di vigilanza sulle imprese di assicurazione. Poiché l’esperienza insegna, avevamo comunque, manifestato cautela, formulando anche l’ipotesi contraria, quella cioè della reviviscenza della Covip, attendendo di verificare quale posizione alla fine avrebbe assunto il governo con la presentazione del maxiemendamento. È stato saggio restare cauti, visto che in zona Cesarini l’esecutivo ha acconsentito all’esclusione della Commissione sui fondi di previdenza dalla riforma delle Authority sul credito e il risparmio, concretizzata con la costituzione, voluta dallo stesso governo, del citato nuovo istituto che avrebbe messo insieme le competenze del controllo assicurativo e quelle dei fondi pensione, stante la stretta vicinanza delle attribuzioni. Si sarebbe avviato così un processo di semplificazione e razionalizzazione degli organi del suddetto settore, con conseguente riduzione e riqualificazione degli oneri a carico del settore pubblico oltretutto migliorando l’attività di controllo, proprio per la visione integrata dei soggetti vigilati. L’Ivarp, nelle previsioni del decreto, è posto di fatto sotto la guida della Banca d’Italia, il cui direttore generale ne è il presidente e il cui Direttorio, integrato da due consiglieri con particolari professionalità ed esperienze, è competente per gli atti aventi rilevanza esterna. In tal modo si rafforza la visione integrata della vigilanza sui due citati comparti, beneficiando della straordinaria, fondamentale esperienza della Banca centrale nel controllo sui soggetti creditizi e finanziari. Invece, Lazzaro-Covip è risorto. E a resuscitarlo è stato un ampio arco di forze politiche alle quali, dopo un’iniziale opposizione, si è puntualmente allineato l’esecutivo. Questo evidentemente non ha ritenuto di fare la voce grossa con la sua maggioranza, facendo una pessima figura perché il disegno del nuovo ente era suo e ne aveva visto la necessità di realizzazione con un veicolo legislativo, il decreto appunto, adottato per ragioni straordinarie e urgenti. È un’altra pagina classica dei freni continui alla riforma delle amministrazioni pubbliche in senso lato e del cedimento alle pressioni di parte, nonostante che, a ogni pie’ sospinto, si declami il contrario. Una pagina pure essa riconducibile alla tanto abusata casta, che però periodicamente vede valorizzate le sue pretese rendendo appropriato il ricorso a questa definizione. A spingere i partiti hanno contribuito anche le forze sindacali che concorrono nella designazione di parte degli esponenti di vertice di questa Autorità. Chi scrive non ha condiviso la critica alla concertazione espressa da Mario Monti qualche tempo fa, e di certo non può essere ritenuto una persona con pregiudizi nei confronti del sindacato: tutt’altro. Ma in questo caso si tratta di un ente di controllo che dovrebbe restare, anche nella formazione degli organi, nella più assoluta terzietà: non è certo la sede di compartecipazioni della specie, ancorché si tratti di fondi pensione; deve essere un ente neutro, di garanzia. E si è commesso un grave errore nel promuovere eventuali pressioni e nel recepirle. Altro che concertazione. A maggior ragione perché in un primo momento il parere del governo sugli emendamenti in questione era stato negativo, salvo poi costringere l’esecutivo a una doppia sconfitta: prima per la bocciatura della norma proposta, e poi del parere. Il parlamento è sovrano, ma se si pone la fiducia, non si dovrebbe essere meno acquiescenti a richieste niente affatto ortodosse? Di conseguenza l’Ivarp, dalla breve vita, ora cambia nome in Ivass, per segnalare la limitazione dell’ente al controllo delle sole assicurazioni e facendo sorgere spontanea una domanda: ma non sarebbe stato sufficiente, allora, riformare l’Isvap, senza neppure cambiare nome? Tanto rumore per così poco? È sperabile che alla Camera, al cui esame ora passa la spending review, l’argomento sia ripreso. Anche allo scopo di cancellare l’impressione, su una valida scelta dell’esecutivo purtroppo portata avanti solo fino a un certo punto, di una «furia francese seguita da una ritirata spagnola», come un tempo si sarebbe detto. (riproduzione riservata)