Moody’s e Fitch cambiano idea sulle capacità di tenuta del debito pubblico italiano e promuovono il governo guidato da Mario Monti. Dopo una serie di bocciature, limature del rating dei bond tricolori e minacce di ulteriori tagli, ben più incombenti dei classici outlook negativi (le pagelline che accompagnano il voto) resi noti assieme alle sforbiciate di voto sui debiti sovrani o societari, le due società di rating hanno cambiato nettamente atteggiamento.
La prima è stata Moody’s. Secondo la società di cui la Berkshire Hathaway di Warren Buffet è il primo azionista (con forte distacco sui seguenti) con una partecipazione del 12,78% «l’Italia potrebbe vedere tornare nel 2013 la dinamica del Pil a livelli pre-crisi», a patto di proseguire a svolgere con diligenza i compiti a casa. Moody’s, infatti, avverte che, «nel migliore dei casi la crisi del debito europeo è solo a metà strada» e il risanamento di Paesi come Grecia e Irlanda potrebbero richiedere fino al 2016 per essere completato. Se la cavano meglio Spagna, Portogallo e, soprattutto, l’Italia che potrebbero invece raggiungere la fine del tunnel già dall’anno prossimo se sapranno applicare compiutamente le riforme adottate. Moody’s chiarisce che tutti e cinque i Paesi hanno già varato riforme per uscire rafforzate dalla crisi, tuttavia «questa fase di aggiustamento è completa a metà nel migliore degli scenari, a seconda del Paese in questione».
Fitch esprime considerazioni simili, paventando un rallentamento dei Paesi euro se non mostreranno progressi sulla strada del risanamento entro la fine dell’anno. Ma David Riley (indagato a Trani), direttore operativo della società di rating, in un’intervista rilasciata a Bloomberg Tv ha riservato un occhio di riguardo per l’Italia e per il suo premier. «L’attuale governo italiano ha tantissima credibilità», ha detto il direttore di Fitch che ha sottolineato come i rischi della fine del governo Monti siano maggiori dei problemi dell’economia. Su questo fronte, peraltro, il punto di vista di Riley è abbastanza originale. «L’Italia non ha bisogno di altre misure di austerità – dice il direttore di Fitch – quelle varate sono sufficienti, ma ora sono necessarie le riforme».
La reazione, sia del mercato sia di commentatori ed esperti, è stata positiva. E forse un po’ eccessiva. Difficile infatti attribuire ai giudizi delle due società di rating il calo dello spread Btp-Bund piuttosto che alla buona riuscita dell’asta di Bonos spagnoli in programma ieri, e a un aumento (un terzo circa della variazione dello spread) del rendimento dei Bund. Soprattutto fa sorridere che il giudizio delle cosiddette agenzie, sino al giorno prima inattendibile in quanto loro stesse avevano fatto di tutto negli ultimi tempi per perdere ogni parvenza di credibilità sino a finire sotto inchiesta a Trani, sia tornato a essere parola incisa sulla pietra. Ma evidentemente il processo psicologico per cui ognuno di noi tende a considerare intelligente chi ci dà ragione funziona anche a livelli diversi da quello personale. C’è un punto, però, che merita di essere sottolineato: Moody’s, ma ancor più esplicitamente Fitch, insistono sulla necessità di mettere in atto quelle riforme strutturali necessarie, ma mai realizzate compiutamente. Quelle impostate e raramente attuate dal governo Monti, evidentemente, non sono ritenute sufficienti dalle due agenzie di rating per potere considerare il debito pubblico italiano definitivamente fuori pericolo.
L’ottimismo manifestato da Moody’s e Fitch non è stato però condiviso da tutti. Secondo Standard & Poor’s le chance di una nuova recessione che potrebbe colpire gli Stati Uniti sono aumentate. L’agenzia ha pertanto sottolineato di non ritenere che né «l’economia americana né quella europea miglioreranno sostanzialmente il prossimo anno». Anzi, pur essendo l’analisi incentrata sugli Usa, per S&P anche il Vecchio Continente, già alle prese con una ricaduta recessiva, rischia di dover fare i conti con una nuova contrazione del Pil il prossimo anno.