Nella guerra di potere che è scoppiata in Mediobanca dalla scomparsa di Vincenzo Maranghi, Alberto Nagel ha combattuto nello schieramento opposto a quello di Salvatore Ligresti. Lo afferma lo stesso amministratore delegato di Piazzetta Cuccia in un colloquio con il quotidiano La Repubblica in cui si difende dalle accuse della magistratura sul suo ruolo nello scandalo Ligresti-Fonsai e difende il suo lavoro di rinnovamento in Mediobanca.
“Dalla scomparsa di Vincenzo Maranghi in poi, in Italia si è combattuta e si sta combattendo una guerra di potere” afferma Nagel, sottolineando che “questa guerra ha camminato di pari passo con le evoluzioni della politica“. Il banchiere spiega che “tra il 2009 e il 2010 c’è stato un tentativo chiaro, da parte di un gruppo di azionisti e manager, per acquisire una posizione di forza all’interno del circuito che fa capo a Mediobanca”. Più chiaramente, con il sostegno del Governo di Silvio Berlusconi, manager come Cesare Geronzi e Vincent Bolloré hanno “cercato di entrare da padroni” nella Galassia di Mediobanca, attraverso la testa di ponte della famiglia Ligresti. Nel 2011, prosegue Nagel, la svolta, quando “siamo riusciti a mettere fuori gioco Geronzi. Quello è stato l’inizio di un cambiamento epocale, per Mediobanca e per la finanza italiana. Per la prima volta, noi manager, Renato Pagliaro ed io, abbiamo ristabilito il primato dell’autonomia e dell’indipendenza. Siamo noi che abbiamo fatto saltare gli equilibri di quello che chiamavate e chiamate ancora il Salotto Buono dei Poteri Forti, o dei Poteri Marci”.
L’a.d. ricorda che “siamo noi che abbiamo mandato via Geronzi“, così come “abbiamo fatto tre passi indietro in Rcs“, e che “abbiamo riformato radicalmente la governance dell’Istituto“, cercando di “traghettare Mediobanca nell’era moderna“, facendola diventare “una banca d’affari che ragiona in un’ottica di puro mercato“. Allo stesso modo, Salvatore Ligresti “lo abbiamo messo alla porta, con tanto di lettere ufficiali. E abbiamo cominciato a farlo già in quell’autunno del 2010, quando abbiamo capito che trattava con Bolloré e con i francesi“. Per questo, secondo Nagel, “i giornali dovrebbero smettere di scrivere che abbiamo continuato a finanziare i Ligresti fino a pochi mesi fa. In verità i rubinetti si sono chiusi dal 2007″.
Alberto Nagel viene chiamato in causa dalla Consob e dalla magistratura che indaga sullo scandalo Ligresti-Fonsai, con l’ipotesi di ostacolo alle attività di Vigilanza, ma si dice “sereno” e fiducioso nella magistratura, perché “so solo che ho agito con assoluta correttezza”. In merito alla sottoscrizione del documento in cui Ligresti chiede ampie garanzie economiche per sé e i suoi familiari, il manager spiega di aver semplicemente “messo una sigla sui desiderata della famiglia, tutto qua. Nessuna delle cose scritte su quei due fogli si è verificata. I 45 milioni di cui si parla – prosegue Nagel – non sono affatto una buonuscita, ma il corrispettivo della quota Premafin che Ligresti doveva cedere a Unipol“. In merito alle conseguenze di questa indagine, Nagel ammette di non sapere “se rischio qualcosa, all’assemblea dei soci di ottobre”, ma aggiunge che “per ora non mi pare che da parte degli azionisti ci sia il desiderio di consumare chissà quali vendette”. Nella vicenda Fonsai-Unipol “i veri innovatori siamo noi e i restauratori sono altri. Noi vogliamo voltare pagina – assicura Nagel – accompagnando fuori dalla scena i Ligresti”.
L’a.d. di Mediobanca affronta poi anche il tema della Generali. Giovanni Perissinotto “è stato messo a riposo dopo tanti anni perché in Cda si è convenuto che i risultati della sua gestione non fossero più performanti, come è giusto attendersi da un gruppo con il potenziale delle Generali” spiega Nagel in qualità di vice presidente del Leone di Trieste aggiungendo che la decisione di sostituire Perissinotto “è stata condivisa da tutti: anche da Pellicioli, Caltagirone e perfino Bollore'”.