Di Cinzia Meoni
Il redde rationem in Piazzetta Cuccia è fissato per il 5 settembre. Le convocazioni arriveranno dopo Ferragosto. Da quella data inizierà comunque una nuova era per Mediobanca, che fino a poco tempo fa dettava legge a Piazza Affari e che le ultime vicende finanziarie e giudiziarie hanno mostrato in tutta la sua debolezza. Una svolta che comunque vada a finire non mancherà di intaccare gli equilibri millenari alla base di quell’intreccio di partecipazioni note come «Mediobanca Connection».
Il primo mercoledì dopo il grande rientro, almeno secondo indiscrezioni stampa, dovrebbe infatti svolgersi un vertice straordinario con all’ordine del giorno l’ormai noto «papello» siglato dall’amministratore delegato Alberto Nagel, a suo dire «per presa visione» sui «desiderata» dei Ligresti (prevista tra l’altro una buonuscita di 45 milioni in contrasto con quanto richiesto da Consob). Una vicenda scottante che ha portato all’apertura di un’indagine da parte della Procura di Milano nei confronti dello stesso Nagel per ostacolo all’Autorità di vigilanza. Ufficialmente la conclusione dell’intricata vicenda dovrebbe svolgersi il 27 ottobre, quando l’assemblea degli azionisti di Piazzetta Cuccia, selezionato parterre (dai Bollorè ai Tronchetti Provera, passando per i Berlusconi e Benetton) e comuni mortali, è chiamata ad approvare i conti dell’esercizio chiuso a giugno (e comunicati il 20 settembre).
Ma all’orizzonte già si profilano altri appuntamenti cruciali per l’istituto fondato da Enrico Cuccia: il prossimo probabile aumento di capitale di Rcs Mediagroup (partecipata al 14,2%), il ricambio ai vertici del Leone di Trieste (partecipata al 13,4%, quota che da sola vale la metà della capitalizzazione della banca d’affari) fissato per aprile 2013 e, per finire, il rinnovo del patto di sindacato di Mediobanca in scadenza a dicembre 2013 (le disdette tuttavia devono essere inviate entro tre mesi prima). E nuovi protagonisti potrebbero cogliere l’occasione per dare scacco alla regina e alle sue partecipate.
In effetti gli ultimi 12 mesi sono stati piuttosto impegnativi per Mediobanca. Lo scorso autunno la vicenda Bpm è passata sottotraccia, ma già in sé portava i sintomi del malanno scoppiato poi, e con furore, con le vicende Fonsai-Unipol e Impregilo (dove i Gavio, storici alleati di Mediobanca, sono stati spodestati dalla famiglia Salini con l’assemblea dello scorso 17 luglio). Sfide aperte che hanno mostrato la vulnerabilità di un gruppo crocevia di grandi affari e legami ma la cui influenza è stata ormai posta in dubbio.
Le lotte tra poteri forti che si spartiscono gli scranni d’oro di Piazzetta Cuccia è solo agli inizi. Colloqui e trattative sono già inoltrati. In molti vedono concreta la possibilità di un allontanamento di Nagel dal timone di comando. E i suoi recenti colloqui con Repubblica fanno riflettere gli esperti su una nuova ricerca di alleanze e sponde. Per il suo posto c’è chi punta sul presidente Renato Pagliaro. Ma sorprese e imprevisti potrebbero non mancare. Anche perché potrebbe tornare in auge l’ipotesi, ciclica, di un matrimonio con Unicredit che di Mediobanca è il maggiore azionista (con l’8,69%). Opzione evidentemente contrastata da Intesa Sanpaolo che si vedrebbe in questo modo tagliata fuori dai giochi strategici. Il gruppo presieduto da Giovanni Bazoli non è azionista della merchant bank, ma partecipa a tutte le principali società della galassia: da Rcs Mediagroup a Telecom Italia, a Generali.
A oggi, almeno in teoria, l’asse Bazoli-Nagel è ritenuto saldo. Ma se la leadership del manager non dovesse più essere sostenibile, il presidente della Ca’ de Sass avrebbe già pronti alcuni assi nella manica: Claudio Costamagna (non a caso assurto al vertice di Impregilo dopo il ribaltone portato avanti dai Salini) e Giovanni Gorno Tempini (al vertice della Cassa Depositi e Prestiti e storicamente a fianco di Bazoli in Intesa e Mittel). Tra gli altri nomi usciti negli ultimi giorni non manca quello di Gerardo Braggiotti, numero uno di Banca Leonardo, e Francesco Saverio Vinci, direttore generale di Mediobanca.
Si preannuncia un autunno caldo, ancor di più visto che dovrebbero arrivare in libreria le attese memorie di Cesare Geronzi, ex numero uno di Mediobanca prima e di Generali poi, classificato dai più tra i nemici di Nagel. Tra questi ultimi ormai a buon titolo si annovera anche Giovanni Perissinotto, successore a Trieste di Geronzi e «silurato» dagli azionisti (tra cui in primis ovviamente Mediobanca) lo scorso giugno per non aver raggiunto risultati e rendimenti soddisfacenti. Posizione questa ribadita da Nagel nei colloqui con Repubblica, in cui confermava che «i risultati della sua gestione non fossero performanti, com’è giusto attendersi da un gruppo con il potenziale delle Generali». Si consideri tuttavia che, negli ultimi due anni, mentre Generali ha perso il 30%, Mediobanca ha lasciato sul campo il 60%. Non è un mistero che Piazzetta Cuccia non stia proprio attraversando uno dei suoi periodi migliori, sia a causa delle ingenti perdite di valore sugli asset strategici sia di un contesto finanziario complesso e in recessione. E anche il bilancio atteso il prossimo 20 settembre non è dei più rosei.
Secondo il consensus raccolto da Bloomberg, la merchant bank dovrebbe aver chiuso l’ultimo esercizio con un giro d’affari di 1,93 miliardi di euro (-4,3%) e un utile netto di 258,8 milioni (-47,3%). Il ritorno sugli asset è stimato allo 0,2% e sull’equity al 4,7%. Nel frattempo gli analisti nell’ultimo mese si sono divisi. Giudizi positivi da Banca Imi (con un target a 3,96 euro), Banca Akros (a 5,4 euro) e AlphaValue (a 6,33 euro). Neutralità per Equita (a 4,2 euro), Kbw (a 4,3 euro) e Nomura (sempre a 4,3 euro). Mentre Ca Cheuvreux consiglia maggiore cautela: underperform a 3,4 euro.
Quanto poi al nodo del contendere, ovvero se il «papello» possa configurare la sussistenza di un patto occulto con i Ligresti nell’ambito dell’integrazione con Unipol, i protagonisti non sono in apparenza preoccupati. Carlo Cimbri, ad del gruppo bolognese, ha infatti dichiarato in merito: «Non sono preoccupato, non vedo elementi», ha risposto a chi gli chiedeva se eventuali interventi della magistratura e della Consob possano determinare cambiamenti nell’operazione di fusione. Il manager non ha poi voluto esprimere valutazioni sull’ipotesi di una revoca di esenzione dell’Opa su Premafin nel caso in cui venisse accertata la sussistenza di un patto tra Nagel e la famiglia siciliana. La compagnia bolognese ha già evidenziato di non essere a conoscenza di alcun «presunto accordo».