di Angelo Di Mattia
Attualmente la conversione del decreto-legge sulla spending review è all’esame della Camera e l’intento del governo è quello di ottenere l’approvazione, senza modifiche rispetto a quello approvato al Senato, del maxiemendamento in modo che il decreto possa essere definitivamente convertito senza affrontare la navetta Camera-Senato. Come abbiamo in passato scritto, il decreto, nel complesso positivo, contiene norme importanti, in alcuni casi complesse e delicate. Presenta pure delle indubbie carenze o dei veri e propri vuoti. Ci siamo poi concentrati sulla questione della Covip (la Commissione di controllo sui fondi-pensione) risorta dalle ceneri nelle quali l’aveva trasformata il decreto, assegnandone le funzioni all’ente di nuova istituzione, l’Ivarp, posto nell’orbita della Banca d’Italia, e assommante le attribuzioni anche del soppresso Isvap (l’istituto di vigilanza sulle assicurazioni). Ora la Camera dovrebbe valutare non solo il problema della figuraccia fatta fare al governo dal Senato con la reviviscenza della Covip, a proposito della quale l’esecutivo in un primo momento aveva espresso parere nettamente negativo, ma anche cosa significhino l’intervenuto scioglimento – essendo il decreto immediatamente e tuttora operante, date le ragioni di straordinarietà e urgenza a suo fondamento – dell’organo collegiale di vertice di tale Commissione, l’attribuzione al suo presidente della qualifica di commissario per la gestione della transizione verso il nuovo assetto per un periodo di 120 giorni, e poi la marcia indietro. Ma, come dice un antico brocardo, factum infectum fieri nequit (il fatto non compiuto non può dirsi avvenuto). Se la Camera confermerà l’esclusione della Covip dall’accorpamento, che succederà? Rivivrà, per un implicito «alzati e cammina» il precedente vertice con tutte le attribuzioni ante-decreto, come se si fosse scherzato prendendosi qualche settimana di pausa? Veramente si vorrà tralasciare l’ipotesi di riesaminare l’intervenuta esclusione? Sia chiaro. Coloro che lavorano nella Covip, a tutti i livelli, sono apprezzabili per professionalità, impegno e dedizione. La confluenza nell’Ivarp rispondeva non certo a una sottovalutazione delle professionalità, bensì a un disegno funzionale e organizzativo, quale primo passo per la riforma delle Authority operanti nel credito e nel risparmio, un disegno che avrebbe esaltato quelle professionalità. Il governo non manca occasione per professare il rispetto dell’autonomia delle Autorità di controllo: una prova migliore sarebbe quella non solo di resistere sulla linea del decreto evitando lo scorporo della Covip, ma anche di realizzare – molti essendo i progetti messi a punto i questi anni – la riforma delle Authority. E di abrogare la norma che prevede un’inconcepibile statizzazione della Banca d’Italia, sulla quale, come noto, in maniera a tutt’oggi non spiegata affatto, l’esecutivo ha espresso parere negativo in sede di esame al Senato del decreto. L’apoditticità non è concepibile, quando si propugnano trasparenza e visibilità. Possono pur esistere, in teoria, ragioni valide (anche se non immediatamente percepibili), ma bisogna esprimerle motivatamente e responsabilmente con l’intervento dei livelli competenti, non attraverso «messi». Non è tempo, se mai lo è stato, di arcana imperii. Inoltre, visto il ritardo con il quale, secondo le cronache, sarebbe stato chiesto sull’Ivarp il parere della Bce, prescritto dall’attuazione del Trattato e dello Statuto quando si tratta di materie riguardanti le banche centrali nonché il credito e il risparmio, sarebbe doveroso che tale parere fosse richiesto prima dell’adozione di atti normativi qual è un decreto. E non sarebbe fuori luogo chiedere, sia pure extra iuris ordinem, l’opinione della stessa Banca centrale europea sull’abrogazione dell’anacronistica norma sopra ricordata. (riproduzione riservata)