di Anna Messia
L’inizio fu nel 2006, quando le Poste Italiane, già allora guidate da Massimo Sarmi, staccarono agli azionisti (all’epoca sia il Tesoro sia Cdp) il primo dividendo, pari a 118 milioni. Era meno della metà dell’utile di 248 milioni che il gruppo era riuscito a raggiungere nel bilancio 2005. «Un anno di svolta», lo definì allora Sarmi, che in effetti ha mantenuto la parola. Il gruppo, che nel frattempo ha ampliato il business puntando forte sulla banca e sull’assicurazione, ha continuato a macinare utili e negli anni la cedola pagata agli azionisti (dal 2010, dopo lo scambio di partecipazioni con Cdp, nel capitale è rimasto solo il ministero dell’Economia) non ha fatto altro che salire. Fino a toccare addirittura la punta dei 500 milioni pagati nel 2010 a far conto sul bilancio 2009, che aveva raggiunto un utile di 736 milioni. Con un payout quindi di quasi il 68%. Anche quest’anno il cedolone è arrivato puntuale, vista la chiara esigenza del ministero di Via XX Settembre di raccogliere fondi. Si tratta di un assegno da 350 milioni che dovrà essere nella disponibilità di cassa del dicastero guidato da Vittorio Grilli entro il prossimo 30 novembre. Probabilmente al ministero avrebbero gradito anche qualcosa in più visto che, nonostante le difficoltà congiunturali, Poste Italiane ha chiuso il 2011 con profitti per oltre 698 milioni. Ma una parte del risultato (oltre alla riserva legale che l’anno scorso era di circa 37 milioni) era vincolato al BancoPosta, il braccio bancario del gruppo. Il riferimento è al patrimonio separato che Poste Italiane ha dovuto creare lo scorso anno allineadosi alle indicazioni della Banca d’Italia mettendo da parte una disponibilità di 1 miliardo di euro attingendo ai «risultati portati a nuovo» degli anni precedenti. La separazione ha pesato anche sui conti del 2011 perché circa 256 milioni dei 698 milioni di utile dello scorso anno sono arrivati proprio da BancoPosta e avevano un vincolo: dovevano essere portati a nuovo con destinazione al patrimonio BancoPosta. A disposizione degli azionisti (eliminando anche la riserva legale) rimanevano quindi 405 milioni e la gran parte di questi (più dell’85%) sono stati regolarmente incassati dal Tesoro. Mentre altri 55 milioni sono stati riportati a nuovo. Decisamente meno rispetto agli anni passati.