Fatturare aiuta i professionisti a farsi una pensione più pesante. Se cresce il volume d’affari, infatti, lievita pure una parte dei contributi destinati alla previdenza e, quindi, il futuro assegno di pensione. A maggior ragione con l’aumento della misura del contributo integrativo, strada praticabile dalle casse dopo l’entrata in vigore della legge n. 133/2011, cosiddetta «Lo Presti». Per i professionisti il beneficio è doppio; l’aumento della pensione (primo beneficio) infatti, è finanziato da un contributo pagato per intero in fattura dal cliente/committente (secondo beneficio). Per la pensione dei periti industriali, l’Eppi sta valutando di elevare l’integrativo dall’attuale 2% (non destinato alla pensione) al 4% (con un 2% destinato alla pensione): ciò potrebbe garantire assegni di pensione più pesanti di circa il 30% su 40 anni di contribuzione.
La previdenza dei professionisti
La legge n. 133/2011 (in vigore dal 24 agosto) ha previsto la possibilità, per le casse, di elevare il contributo integrativo dall’attuale 2% al 5% del fatturato lordo (l’impegno preso dal governo in parlamento prevede che non si vada oltre l’aliquota del 4%). Dopo la legge n. 335/1995, questi enti di previdenza sono suddivisi in due categorie: casse privatizzate con disciplina dettata dal dlgs n. 509/1994 (avvocati; commercialisti e ragionieri; geometri; notati; architetti e ingegneri; consulenti lavoro; farmacisti; medici; veterinari; giornalisti; rappresentati commercio; impiegati agricoltura; spedizionieri e agenzie marittime; Onaosi) e casse private con disciplina dettata dal dlgs n. 103/1996 (psicologi; periti industriali; infermieri professionali, assistenti sanitari e vigilatrici d’infanzia; biologi; agronomi forestali, attuari, chimici e geologi). Tutte le casse, in cambio di una pensione, chiedono ai professionisti di pagare una contribuzione organizzata in due prelievi: «contributo soggettivo», in genere determinato in misura percentuale sul reddito professionale prodotto dal professionista e da questi integralmente dovuto; e «contributo integrativo», in genere calcolato in misura percentuale del volume d’affari (la base imponibile ai fini Iva) e esposto in parcella così da restare a carico dei clienti/committenti. La legge n. 133/2011 consente di elevare il secondo contributo alle casse private e a quelle privatizzate in regime contributivo, cioè alle casse di ragionieri e commercialisti; inoltre, riconosce la facoltà di destinare parte del contributo integrativo all’incremento dei montanti individuali, cioè a quel «totale contributi» su cui è calcolata la pensione.
Lavori in corso
La parola, adesso, è alle casse di previdenza (si veda altro articolo in pagina) che possono/devono valutare le diverse soluzioni per il beneficio delle pensioni dei professionisti. Il comune denominatore della riforma sta in un dato: il fatturato, ossia il volume d’affari conseguito e dichiarato dai professionisti ai fini dell’Iva. Questo perché il contributo integrativo si calcola sullo stesso imponibile dell’Iva e, come l’Iva, resta a pieno carico di chi usufruisce delle prestazioni: il cliente/committente. Diventa ovvio, allora, che più alto è il fatturato più consistente sarà la contribuzione aggiuntiva integrativa e, quindi, il montante finale che calcola la pensione; come pure che a «carriere» più sostenute (cioè con una crescita del fatturato significante nel tempo) corrisponderanno interessanti miglioramenti del «montante» contributivo e, dunque, dell’assegno di pensione.
Pensioni più care
L’Eppi, la cassa di previdenza dei periti industriali, sta valutando di elevare l’attuale aliquota del contributo integrativo dal 2% (non destinato alla pensione) al 4%, consentendo di destinare tutta la differenza (cioè il 2% di rincaro) alla pensione dei professionisti. In tabella sono riportate due simulazioni di ciò che potrebbe essere il risultato finale. L’ipotesi fa riferimento a un lavoratore che va in pensione a 65 anni, dopo 40 anni di lavoro e contribuzione, con un reddito medio (sui 40 anni) di 100 mila euro (più basso all’avvio del lavoro, più alto alla fine) e fatturato medio (sempre sui 40 anni) di 150 mila euro (una volta e mezzo il reddito). Si suppone quindi che la crescita reddituale e di fatturato sia di un 2% annuo, costante nel tempo (tesi difficile in tempo di crisi), come pure che al 2% si fisso il tasso annuo di rivalutazione del montante contributivo (tesi altrettanto difficile, legata al pil che vive momenti difficili con la crisi economica).
I risultati: oggi, senza contributo integrativo (il 2% applicato in fattura serve a ripagare i costi della cassa), è prevedibile che la pensione annua sia di 32.460 euro (circa il 23% dell’ultimo reddito); con un aumento del 2% del contributo integrativo (applicando il 4% in fattura), la pensione annua passa a 42.196 euro, con un incremento del 30% circa,