Le considerazioni del presidente della Commissione di Vigilanza sui Fondi Pensione (a margine dell’ultima Relazione annuale) hanno portato alcuni gruppi di futuri pensionati a preoccuparsi del loro futuro. A pagina 7 si legge: nei «fondi preesistenti a prestazione definita… sono state riscontrate situazioni problematiche… per effetto dell’utilizzo di elevati tassi di attualizzazione per il calcolo delle riserve matematiche. Per assicurare l’adeguatezza delle basi demografiche, economiche e finanziarie utilizzate nel calcolo delle riserve matematiche, la Commissione sta collaborando con il ministero dell’Economia e delle finanze per l’emanazione di disposizioni specifiche in tema di criteri prudenziali». Insieme alle preoccupazioni, la dichiarazione pone in primo piano problemi generali di governance: come giudicare i valori delle riserve; come definire le responsabilità dei valori dichiarati; quanto l’Autorità debba intervenire imbrigliando il giudizio con disposizioni sulle tecniche e sulle ipotesi di calcolo. Oltre che per i fondi pensione, questi temi sono rilevanti nel dibattito sui nuovi regolamenti per l’assicurazione a seguito della Direttiva europea Solvency II. Le riserve matematiche dipendono dagli importi futuri che dovranno essere corrisposti agli aderenti dal fondo pensione. Per calcolarne il valore bisogna ricorrere a un artificio, a un modello di valutazione. La teoria fornisce principi per costruire modelli coerenti e tecniche per agganciare questi modelli alla realtà, ma comunque richiede ipotesi e assunzioni di responsabilità sulle opinioni. Il valore di modello non può essere oggettivo, resta per sua natura opinabile, dipende dalla scelta di tecniche e ipotesi. Chi si trova a giudicare un valore di modello non può avere un numero vero di riferimento, proprio perché non esiste il modello unico e vero che lo produca; e modelli ugualmente adeguati possono dare valori diversi. L’impossibilità di riconoscere vero un modello ha conseguenze sulla governance dei processi di giudizio: giudicare la congruità della riserva di un fondo pensione non significa guardare al numero finale ma giudicare le tecniche e le ipotesi utilizzate dall’attuario per produrlo. In generale, per tutto questo, la governance dei valori è sfida culturale. Dovrebbe essere impegno delle Autorità di vigilanza promuovere un salto in questa nuova dimensione delle prassi di giudizio e di controllo. Altrimenti conviene eliminare il peso delle ipotesi, imponendo criteri prudenziali e regole pubbliche. Ma allora diventa importante dosare il livello di intervento, tra Stato e mercato, perché si tocca il principio della libertà d’impresa. In materia previdenziale, peraltro, il bilanciamento di ruolo tra intervento pubblico e mercato non si pone; qui, infatti, non entra in gioco l’art. 41 della Costituzione (che tutela la libertà dell’iniziativa economica privata) bensì l’art. 38, secondo comma; e quindi il valore primario e assoluto della liberazione dal bisogno dei soggetti che, nel caso di specie, abbiano perduto la capacità di acquisire reddito in ragione dell’età. È chiaro, allora, che laddove la Covip evoca tecniche idonee a garantire affidamenti di lungo periodo (anche ultra quarantennali) guarda a quei soggetti (fondi di previdenza integrativa e/o sostitutiva) che assolvono una funzione sussidiaria del welfare e precisamente la funzione sociale di liberare dal bisogno la persona umana nella fase della sua maggior debolezza, indotta dall’avanzare dell’età. (riproduzione riservata)
* professore ordinario nella Facoltà di Economia dell’Università degli Studi Roma Tre
** preside della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università Luiss Guido Carli