Nel primo trimestre 2011 si sono registrati 142 attacchi in tutto il mondo, ma di questi ben 95 sono stati commessi da pirati somali. E le navi italiane sotto sequestro restano due
Pagina a cura di Nicola Capuzzo
Poco meno di 240 milioni di dollari è l’ammontare complessivo dei riscatti pagati dagli armatori di tutto il mondo ai pirati in Somalia nel 2010. Almeno 120 milioni in più rispetto al 2009 con un costo medio per riscatto vicino ai 5 milioni di dollari, anche se alla Fratelli D’Amato pare ne siano stati inizialmente chiesti 16 milioni per il rilascio della petroliera Savina Caylyn catturata lo scorso 8 febbraio mentre navigava a 880 miglia dalle coste somale.
Da un recente rapporto dell’International Maritime Bureau (Imb) nel primo trimestre del 2011 si sono registrati 142 attacchi in tutto il mondo, 95 dei quali commessi da pirati somali, con una crescita del 35% rispetto allo stesso periodo del 2010.
Nei giorni scorsi è stata rilasciata la petroliera Rbd Anema e Core della compagnia Rbd Armatori assaltata al largo della Nigeria, ma subito dopo un altro attacco ha riguardato la motocisterna Valle Azzurra della Montanari Navigazione che è riuscita a evitare il sequestro.
L’Africa occidentale e l’Oceano Indiano sono le regioni maggiormente colpite da un fenomeno che oltre alle spese dei riscatti impone anche altri oneri riconducibili alla gestione del pagamento del riscatto e a tutti i costi indiretti che gli armatori devono sopportare a seguito del sequestro della nave.
Secondo il segretario generale dell’Onu, Ban Kimoon, il danno economico generato ogni anno dalla pirateria nel Golfo di Aden e nell’Oceano Indiano supera i 7 miliardi di dollari in termini di minori introiti per le società di navigazione, di costi del carburante per la deviazione della rotta, di spese per il dislocamento di navi da guerra e di costi delle polizze assicurative, che, stando alle ultime stime, dal 2008 sono aumentati del 300% con specifici sovrapprezzi per il Golfo di Aden. E secondo la società bresciana di analisi del rischio Dual Risk Management, l’anno passato sono state rapite 1.181 persone e sequestrate 53 navi, 49 delle quali al largo della Somalia.
Come si difendono gli armatori italiani. Gli armatori italiani sono riusciti a ottenere, anche tramite il pressing sul mondo politico dell’associazione di categoria Confitarma, il diritto di imbarcare forze armate a bordo delle proprie navi per difendersi dagli attacchi.
Le misure di contrasto alla pirateria marittima sono contenute del disegno di legge di conversione del decreto legge 12 luglio 2011, n. 107 già approvato dal Senato e in procinto di ottenere l’ok definitivo dalla Camera nei prossimi giorni. A settembre le navi battenti il tricolore potranno dunque essere difese dai militari italiani o da altre forze armate pagate dagli stessi armatori.
Il nodo delle assicurazioni. Ma il presidente di Banchero Costa Insurance Broker, Giacomo Madia, spiega che «questo provvedimento del Governo non basta, perché, anche imbarcando le forze armate, non si risolve il problema delle navi sequestrate. Per gli armatori, infatti, la discriminante resta la facoltà di pagare il riscatto che oggi è vietata dalla legge italiana, che applica ai casi di sequestro da parte di pirati la medesima legge sul sequestro di persona». Non solo. L’articolo 5 della legge 82 del 1991 impedisce anche di stipulare coperture assicurative in modo che a pagare il riscatto sia la società assicuratrice. «In altri Paesi, come il Regno Unito o Panama, questo è invece possibile», precisa Madia. Detto questo, poi alla fine i riscatti vengono comunque pagati dagli armatori.
Quanto agli assicuratori, sono quindi coinvolti solo indirettamente nel sequestro e nel riscatto delle navi. Da un lato, infatti, un armatore stipula sempre una polizza merci, che copre i carichi trasportati dalla nave, e dall’altro lato stipula una polizza corpi e macchine che copre il «bene nave» per cui, ad esempio, se i pirati affondano la nave, l’armatore viene risarcito.
A questo proposito, precisa il responsabile Marine di Munich Re, Dante Teodori: «Dato il legame indissolubile tra il mondo assicurativo e quello del mare, una parte sostanziale dei costi della pirateria si è inevitabilmente ribaltata sugli assicuratori». Il rischio pirateria era infatti tradizionalmente coperto dalla maggioranza delle polizze corpi e macchine nell’ambito dei rischi ordinari. Ma con il dilagare del fenomeno, la pirateria è stata via via spostata dagli assicuratori dai rischi ordinari ai rischi di guerra, permettendo così alle compagnie di incassare premi addizionali per la navigazione nelle zone a rischio. Un approccio che, secondo Teodori, dovrebbero avere anche gli assicuratori delle merci: «Quanti danni da pirateria si dovranno pagare prima che anche per le merci si riesca a prevedere una soluzione che consenta almeno di ottenere un premio adeguato al rischio da correre?». (riproduzione riservata)