Circa 75 imprese cinesi, tra cui una decina di giganti pubblici, operavano in Cina prima dello scatenarsi della rivoluzione. Grazie ai loro costi imbattibili si erano viste affidare contratti per circa 14 mld di euro nelle infrastrutture dei trasporti, nella costruzione di alloggi e nei progetti di telecomunicazione. Avevano approfittato della mancanza di manodopera locale contribuendo così a tutelare una delle fonti di approvvigionamento di petrolio.
Il peggioramento della situazione ha costretto poi la Cina a mettere in piedi la più grande operazione di rimpatrio: 35.000 cinesi, per la maggior parte operai e alcuni quadri, sono stati di corsa evacuati. Un’operazione alla quale non era preparata. Ha dovuto constatare che il principio di non ingerenza negli affari degli altri paesi non ha potuto proteggere i propri connazionali. L’amministrazione incaricata di gestire i grandi gruppi pubblici ha avviato una stima delle perdite registrate dalla imprese statiche a causa dei danni materiali o dell’utilizzo di prefinanziamenti. Le cifre non sono ancora note, ma si parla di un impatto notevole, cosa che sarebbe stata di certo molto limitata se esistessero coperture assicurative apposite applicate in modo sistematico. Il paese dispone dal 2001 di un assicuratore del Credito all’esportazione (Sinosure), di proprietà statale. Ha dovuto rivalutare bruscamente i rischi paese e creare una squadra per gestire la crisi libica. Secondo l’Economic Observer, sarebbero già oltre 1 mld di dollari di indennizzi da pagare alle sole 13 imprese pubbliche che hanno dovuto cessare l’attività.