Palazzo Chigi pensa di far entrare in vigore già dal 2012 il nuovo sistema che collega l’età alla speranza di vita. Stoppati i più giovani
di Roberto Sommella
Addio alle pensioni d’anzianità per milioni di italiani che hanno oggi tra i 30 e i 45 anni d’età. Il governo ha pronta come carta segreta, da sottoporre oggi all’incontro con le parti sociali, l’anticipo al 2012 dell’entrata in vigore dell’ultima riforma del sistema previdenziale, che prevede di fatto per le generazioni suddette una brusca frenata delle uscite anticipate dal lavoro.
Il provvedimento, allo studio dei tecnici, che peraltro sono stati avvertiti di restare al loro posto anche la prossima settimana per affrontare eventuali richieste di decreti d’urgenza, è al momento sul tavolo dei collaboratori dei ministri Tremonti e Sacconi. Si compone di un capitolo unico: anticipare al prossimo anno, e non più al 2013, l’entrata in vigore del nuovo meccanismo di calcolo per accedere alla pensione d’anzianità, che combina il numero di anni di contributi, l’età anagrafica e, novità, la speranza di vita.
Proprio in virtù di questa riforma il governo Berlusconi ha da tempo messo in sicurezza la spesa pensionistica perché, come spiegato più volte da MF-Milano Finanza, con questa tipologia di calcolo, combinata con l’innalzamento graduale a 65 anni per le donne della soglia per la pensione di vecchiaia, si riuscirà già dal 2013 a ottenere risparmi per qualche miliardo di euro. Il problema è che l’esecutivo deve essere pronto a fronteggiare una nuova ondata di speculazione, qualora già oggi i mercati dovessero mostrarsi scettici sul discorso pronunciato ieri da Silvio Berlusconi alle Camere. In questo caso, ragionano in molti nel governo, la medicina meno amara di tutte, anche di una possibile patrimoniale sui redditi alti, è proprio l’alt alle uscite pensionistiche anticipate di coloro che hanno oggi tra i 30 e i 45 anni. «In fondo si tratta di emendare la manovra appena varata a luglio cambiando l’anno 2013 in 2012», ragiona un autorevole membro dell’esecutivo, «e tra l’altro un provvedimento del genere non avrebbe un impatto recessivo perché le persone interessate dal blocco non perderebbero potere d’acquisto, potendo contare ancora sul 100% dello stipendio invece che su un assegno previdenziale che decurta l’ultimo salario del 20-30% e in futuro del 50%».
Ma, detto che il premier non si è ancora pronunciato e lascerà sulle spalle del ministro dell’Economia tutto l’onere di mettere in pratica gli accordi con le parti sociali da qui alla ripresa in settembre, bisognerà vedere cosa diranno di questa proposta Confindustria e sindacati. È probabile che, a fronte di un inasprimento aggiuntivo della pressione fiscale, accettino questo male minore dando il via libera alla stretta sulle pensioni. La seconda, drastica, ipotesi su cui si sta ragionando è l’abolizione tout-court delle pensioni d’anzianità, fissando sin dal prossimo anno una data unica per l’abbandono dell’attività lavorativa e cioè il compimento dei 65 anni d’età. Una scelta però che viene considerata difficilmente sostenibile da un governo molto indebolito. E che troverebbe la Cgil nettamente contraria. (riproduzione riservata)